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UN SOLDO PER I TUOI PENSIERI… -NON SPRECARLO, FATTI UN PENSIERO TUTTO TUO! Lo spreco è un vizio, o una virtù? Per nostra madre terra è una colpa. Ma Italo Calvino e Louisa May Alcott gli danno il beneficio del dubbio.

-Pape Satàn, pape Satàn aleppe!
cominciò Pluto con la voce chioccia…

Volendo parlare di spreco senza uscir troppo dal nostro seminato – le invenzioni dell’arte, della letteratura, del cinema, del design e di qualsiasi altra ingegnosità umana alla prova di generalissimi concetti e minimi dettagli,  con la bussola puntata all’infanzia –  niente di meglio che iniziare con la filastrocca del «maledetto lupo» che sta sulla soglia del quarto cerchio dell’Inferno dantesco. Lì prodighi e avari soffrono la stessa pena, ispirata forse da Sisifo: rotolare massi in eterno verso opposte direzioni. Per questi dannati l’unica distrazione è, incrociandosi, insultarsi. Hanno pena uguale perché uguale è la fatica che hanno speso intorno alla ricchezza, oggetto di per sé vano. E in questa condanna forse c’è anche l’origine di  locuzioni oggi desuete: fare lo spreco, nel senso di fare la fatica, darsi la pena; andare a spreco, nel significato di esserci (qualcosa) in grande abbondanza, a profusione.

Gustave Doré
Gustave Doré, illustrazione per il Canto VII dell’Inferno dantesco.
Avari e prodighi sprecano l’eternità, faticosamente.

Lo spreco dei prodighi è la liberalità che non riconosce il suo oggetto, come diceva Tommaso d’Aquino, e assomiglia a un’incontrollata passione. Italo Calvino nel testo autobiografico La strada di San Giovanni dice proprio questo:

Che la vita fosse anche spreco, questo mia madre non l’ammetteva: cioè che fosse anche passione. Perciò non usciva mai dal giardino etichettato pianta per pianta, dalla casa tappezzata di buganvillea, dallo studio col microscopio sotto la campana di vetro e gli erbari. Senza incertezze, ordinata, trasformava le passioni in doveri e ne viveva.

Italo Calvino in braccio alla madre Eva Mameli
Italo Calvino in braccio alla madre Eva Mameli, botanica e naturalista.
È il 1923, a Cuba dove lo scrittore era nato quello stesso anno.

Sullo spreco come interpretazione appassionata della vita, causa a volte di decisioni imprevidenti, ricordiamo una fiaba africana della tradizione swahili, antologizzata dal missionario Carl Gotthilf Büttner nel 1894. Un giovane uomo, pur di sposare la figlia di un ricchissimo allevatore, vende tutti i cento capi di bestiame in suo possesso, perché questo è il prezzo che il padre richiede. Da questa decisione non verranno che guai e, prima del finale e lieto scioglimento, così la moglie rimprovera il marito:

Tu hai ereditato cento capi di bestiame dai tuoi genitori; non hai ereditato un solo vitello in più. E tu li hai presi tutti e li hai dati via per sposare me, hai dato via tutti i tuoi cento capi di bestiame… E ora non hai niente, neppure da mangiare per me e per te, e sei diventato servo degli altri… Se ti fossi tenuto metà della mandria e con l’altra metà avessi sposato una donna, avresti avuto qualcosa da mangiare. Ecco dunque la tua stupidaggine, caro marito.

Altopiano dell’ Ennedi
Altopiano dell’ Ennedi, una regione ricca di arte rupestre nel nord est del Chad.
In questa riproduzione, un bell’esempio di spazio espressivo e tecniche di allevamento
che non conoscono sprechi.

In effetti l’amore con i suoi impulsi anti-economici a volte rende stupidi e improvvidi. Ma alla fine, almeno nella fiaba, lo spreco più folle si rivela un insperato guadagno. Il padre della sposa, rimproverato aspramente per avere regalato una figlia per sole cento vacche, possedendone lui seimila, ne regalerà duecento alla coppia.

E anche Federigo degli Alberighi, nella novella raccontata da Fiammetta nel Decameron, sposerà monna Giovanna dopo aver sperperato per lei il suo patrimonio e aver cucinato la sua ultima risorsa, uno splendido falcone, pur di accoglierla degnamente alla sua povera mensa. Lo spreco che Federigo fa di sé è esemplare di una nobiltà di cuore contrapposta alle furbizie mercantili dominanti negli intrecci del Boccaccio.

Federigo degli Alberighi
Federigo degli Alberighi fa spreco dell’indispensabile, ma è compensato da un tribolato lieto fine.

 Nobiltà di cuore è quella pure delle sorelle March in Piccole donne di Louisa May Alcott, quando rinunciano alla loro colazione di Natale, unico lusso in una vita umilissima, per regalarla a una famiglia di vicini ben altrimenti disgraziata. Sono liberali fino alla prodigalità donando tutto ciò che hanno in quel momento. Fanno spreco dell’indispensabile. Sono cioè, appassionatamente generose.

Piccole Donne ,George Cukor 1933.
Jo (Katherine Hepburn), Amy (Joan Bennett), Beth (Jean Parker) e Meg (Frances Dee) nella versione cinematografica di Piccole Donne realizzata da George Cukor nel 1933.

Prodigo invece solo per ottenere oggetti degni, era Michelangelo Buonarroti. Scrive infatti da Roma al nipote Leonardo in Firenze, il 25 aprile del 1549, a proposito dell’acquisto di un certo podere in Chianti:

… Voi lo togliate a ogni modo e non guardiate in denari. E quando ne fussi in vendita qualcun altro d’altrectanta spesa… manderò incora i danari di quello, perché è meglio che tenergli perduti.

E sabato 11 maggio, alla proposta d’acquisto di un altro podere e di una bottega in Porta Rossa, a Firenze, Michelangelo risponde:

Se voi trovate buon sodo, che voi togliate ancora la boctega e il podere, se è cosa buona… per inzino quactro mila scudi d’oro in oro, che voi gli spendiate… e questo fia meglio che tenere sui banchi, perché non me ne fido.

Ma se di mezzo non c’è il sodo (l’utile), allora ecco apparire il fantasma dello spreco. Quando si profila un possibile matrimonio del nipote con una figliola del nobile Lionardo Ginori, Michelangelo si preoccupa subito che il giovane non sia indotto a inutili dissipazioni per contentare l’orgoglio degli aristocratici, futuri parenti:

[ho] paura delle pompe e delle pazzie che vogliano queste case di famiglia.

 

Michelangelo non si fidava delle banche ma ragionava come un banchiere, o almeno come il vecchio banchiere di Mary Poppins (1964), Mister Dawes, che ammoniva il piccolo Michael Banks a non sprecare due (miseri) penny per ingrassare i piccioni:

Se quei due penny in banca subito impiegar tu li sai,
senza troppi sforzi in breve raddoppiar li vedrai.
Saran sicuri nei forzieri
e null’altro dovrai far
che affidarti a noi banchieri,
che sappiam quel che più convien comprar.

Michael e sua sorella Jane d’altronde hanno imparato da Mary, loro governante, che c’è uno spreco buono: spreco di magia per riordinare la propria camera, per trasformare la fantasia in realtà, per ballare sui tetti e cavalcare disegni animati; spreco di zucchero in barba alla odontoiatria e spreco di scioglilingua in barba al dizionario.

Mary Poppins
Mary Poppins non teme affatto di sprecare il suo talento magico per mettere in ordine una camera a soqquadro. Cenerentola le ha insegnato che le vere principesse si trovano solo tra la servitù.

Sin qui abbiamo preso le difese dello spreco, rivendicandone la nascosta moralità o almeno l’ambiguità quando prenda la forma della prodigalità. Nonostante Dante. Ma la dissipazione è un’altra cosa. La sua più cupa incarnazione è lo spreco sempre in atto del pianeta da parte dei suoi abitanti. Spreco di risorse, di bellezza, di terra, di ricchezza, di biodiversità.

Nel film di animazione Wall-E (2008) prodotto dalla Pixar e diretto da Andrew Stanton, sulla terra sono rimasti solo grattacieli di rifiuti e oceani di liquami chimici. Ogni metro di terra è una discarica che contiene le schifezze residuali di un gigantesco spreco universale. La natura è stata espulsa da sé. Gli esseri umani vivono su una lontana astronave, obesi, ottusi, eternamente accomodati in poltrone continuamente in movimento, nelle mani (diciamo così) di una tecnologia premurosa e tirannica. Sulla terra è rimasto solo un piccolo robot addetto a impossibili e secolari pulizie. A dare il segnale della riscossa del mondo sarà una minuscola pianta di cui Wall-E e la sua complice Eve (sic!) non sprecheranno una singola fogliolina.

Wall- E (2008), regia di Andrew Stanton.
Wall- E (2008), regia di Andrew Stanton. Una civiltà sviluppata non produce montagne, ma bensì grattacieli di rifiuti. Anche piuttosto belli. Si dimostra così che un essere umano evoluto può sprecare il pianeta, ma non la sua educazione estetica alla modernità.

C’è poi la dissipazione di sé, lo scialacquio autodistruttivo così ben rappresentato dalla favola di Esopo, La cicala e la formica:

Durante l’inverno, le formiche mettevano ad asciugare il grano che si fosse inumidito. La cicala, avendo fame, chiedeva loro di che mangiare. Le formiche le risposero in questo modo:
-Perché in estate non hai raccolto cibo anche tu?.
E quella:
-Mi è mancato il tempo, cantavo armoniosamente.
Le formiche replicarono ridendo:
-Se in estate hai cantato, in inverno balla!

D’altra parte è vero che ogni bambino dentro di sé prende le parti della cicala, difendendo il principio del piacere, e non si schiera certo con la spietata formica senza cuore e con la sua morale  crudele. In fondo Marcel Proust ha fatto la cicala per più di due terzi della sua vita, ma sono stati proprio quegli anni d’acuto ozio che gli hanno permesso di trasformarsi poi in una formica fervorosa e geniale. A un occhio burbanzoso la fantasticheria che ci fa rimanere con lo sguardo appeso alle nuvole per ore, in cerca di cavalli, fiori o castelli, appare uno spreco di tempo senza rimedio e i collage che Braque e Picasso crearono nel 1912, i primi della modernità, possono essere scambiati per gli esercizi di stile di un talento impigrito che lascia al caso il compito di pensare e agli oggetti più inutili quello di lavorare. Invece tenendo lo sguardo fisso in cielo, ma vale anche per i tetti delle case o i rami degli alberi, liberiamo la nostra mente da ogni ingombro superfluo, la vuotiamo e la puliamo come una stanza che così potremo arredare con cose nuove.

Pablo Picasso, La bouteille de Suze,
Pablo Picasso, La bouteille de Suze, 1912, Kemper Art Museum, Washington University in Saint Louis , USA.

E quella del collage è un’arte che si rifiuta di sprecare fosse pure un frammento di carta stagnola, un pezzetto di corda, un vecchio disegno lasciato incompiuto, la piuma di un uccello mattutino o una trecciolina di stoffa colorata. È un’arte che democratizza il mondo, salvando le cose da una vita sbagliata o infelice, facendo sentire anche le più umili indispensabili. E lo stesso fa la Eat Art di Daniel Spoerri che espone tavole apparecchiate da cui sembra si siano appena alzati i commensali, con piatti sporchi e avanzi di cibo. Un’arte della tavola che troverebbe in qualsiasi bambino un entusiasta gourmet.

Daniel Spoerri, Tableau piège de VIgneron
Daniel Spoerri, Tableau piège de VIgneron 1983, foto archivio Francesco Conz
Daniel Spoerri - arte gastronomica ed ergonomica.
Un altro esempio della Eat Art di Daniel Spoerri: arte gastronomica ed ergonomica.
Arte che dà da mangiare proprio quando tutti si sono alzati da tavola. Non una briciola sarà sprecata.

Spreco è anche la distribuzione troppo indulgente di regali natalizi. Ma per questo generi di sprechi il folklore germanico ha un rimedio: Belsnickel o Belzenickel, il cui nome contiene un richiamo a San Nicola. Armato di una fascina con cui punire e d’infallibile intuito con cui premiare, Il suo compito è quello di correggere gli errori di Babbo Natale, incapace di resistere alle frottole di qualsiasi monello (Caro Santa Claus, sono stato davvero buono quest’anno… ), soprattutto alle furbizie dei più scapestrati (Caro Santa Claus, so di non essere stato tanto buono ma… ). Belsnickel sa chi è stato buono davvero!  Nottetempo, dopo il passaggio del rubicondo vecchione, si intrufola nelle case e sottrae agli immeritevoli i giocattoli improvvidamente donati.  Al mattino una triste sorpresa attende gli imbroglioncelli. Sotto l’albero per loro non c’è che uno spazio vuoto e una dura lezione. Non sapranno come, ma sapranno certo perché.

Il pupazzo Belsnickel ha forme e abiti diversi, a volte mezzo diavolo e mezzo stregone con un cappello a punta e una maschera nera, a volte nei panni di un Santa Claus fuori ordinanza. Ce n’è uno con in mano uno scopettone o un ramo fronzuto, un altro con un balocco. Nei più ingegnosi, tirando una cordicella, il meccanismo farà scattare il braccio all’indietro, simulando il gesto di “portar via il regalo”. Niente sprechi, è Natale.

Belsnickel o Belzenickel o Pelzmärtel
Belsnickel o Belzenickel o Pelzmärtel, un Babbo Natale che si riprende i regali mal riposti, perché la vera bontà non vada sprecata e riceva la giusta ricompensa.
Mister Dawes , il banchiere di Mary Poppins
Osservate come i piccini siano consapevoli dei loro peccatucci mentre il vecchio signore, in secondo piano, sorride come Mister Dawes , il banchiere di Mary Poppins, al pensiero che qualche penny
sarà certamente risparmiato.
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