1

L’artigiano cosmico, i bambini e il soffitto di Wittgenstein

“Mettere un impegno personale nelle cose che si fanno”: è questo il carattere saliente dell’artigiano che Richard Sennett sottolinea nel suo libro L’uomo artigiano, aggiungendo come questi sia “la figura rappresentativa di una specifica condizione umana” (Milano, 2008, p.28). Affermazione generalissima: lo diventa meno quando s’intenda la natura di quell’impegno, che è non solo di interrogarsi sul come fare le cose, ma anche di chiedersene il perché. Il come implica il tempo lungo dell’apprendistato, eterna ripetizione, eco di quella altrettanto rassicurante che fonda la psicologia del gioco. Il come è controllo degli strumenti, delle pratiche. Il perché è la maestria, l’immaginazione, la capacità di scartare per intuizione e talento dalla convenzione che pure fonda la tradizione, ma opacizza la visione dei problemi. Quella dell’artigiano è la qualità della tekne (in latino ars): nelle parole di Aristotele «una disposizione produttiva accompagnata dalla ragione».

Secondo Platone gli artigiani sono più vicini alla verità (alla realtà) di quanto non lo siano poeti, pittori e musicisti. Infatti se l’idea del letto, è l’esempio che viene fatto nella Repubblica, è creata dal Demiurgo secondo natura, il letto è poi costruito dall’artigiano guardando all’idea sovrasensibile e solo terzo viene il pittore che dipinge non l’idea ma l’oggetto sensibile. Dunque il pittore, a differenza dell’artigiano, non è un ‘artefice’ ma un imitatore.

L’artigiano trasforma il mondo e così facendo lo pensa, mantiene stretto il legame tra i mezzi e il fine. Non perde il senso del contesto. Come magari successe al filosofo viennese Ludwig Wittgenstein il quale, dopo aver terminato di sovrintendere alla costruzione della casa di sua sorella che aveva lui stesso progettato, fece demolire un soffitto risultato di tre centimetri più basso del dovuto. È un esempio, dice Sennett, di come la perfezione del dettaglio faccia perdere la visione d’insieme (il dettaglio diventava il tutto), necessaria a chi, come l’artigiano, opera con i vincoli delle funzioni, dei materiali e del commercio. Anche se c’è molto dell’ostinata acribia usuale per il bravo artigiano nel Wittgenstein che in quella stessa casa fa rifare decine di volte lo snodo di un radiatore, sino a quando non gli appare perfettamente equilibrato nello spazio cui è destinato (Ray Monk Wittgenstein. Il dovere del genio Milano 1991, p. 238).

E così il geniale architetto Howard Roark, interpretato da Gary Cooper nel film di King Vidor The Fountainhead (1949), che va a lavorare in una cava di marmo per non scendere a compromessi con chi vuole trasformare il progetto del suo moderno grattacielo in un guazzabuglio di stili, è un artista intransigente o un artigiano a corto di soluzioni?

L'architetto Howard Roark (Gary Cooper) e i compromessi della creatività nel film di King Vidor The Fountainhead (1949)
L’architetto Howard Roark (Gary Cooper) e i compromessi della creatività nel film di King Vidor The Fountainhead (1949)

Artista e artigiano in fondo vengono dalla stessa linea tracciata con un tizzone spento da un nostro progenitore ventimila anni fa sulla parete della caverna, non quella di Platone naturalmente: “Ci volle tempo, ma un po’ alla volta gli uomini cominciarono ad avere nelle loro mani le cose, perché con quella linea riuscirono a contornarle e delimitarle, dando così una forma alla natura dei suoi abitatori: ai bisonti, alle giraffe, agli uccelli, ma anche al sole, ai pianeti e alle costellazioni. E a loro stessi. Così si estraniarono dal mondo quel tanto che bastava a vedere i contorni: in breve a vederlo, e quindi a indagarlo, studiarlo, decifrarlo. E anche a ricrearlo. Da creati divennero creatori” (Tullio Pericoli Quante storie per una matita! in Domenica supplemento del Sole 24ore, 29 marzo 2015, p.35).

Ed entrambi, artista e artigiano, hanno giocato da bambini lo stesso gioco, quello che ci racconta Walter Benjamin: “(…) non c’è niente che il bambino faccia più più volentieri che unire fraternamente, nelle sue costruzioni, le materie più eterogenee – pietre, plastilina, legno, carta. Dall’altro lato nessuno è più pudico del bambino, nei confronti delle materie: un semplice pezzetto di legno, una pigna, un sassolino, nella purezza, nell’univocità della sua materia, possono rappresentare nondimeno tutta una varietà di figure diversissime tra loro” (Walter Benjamin Storia culturale del giocattolo in Id. Ombre corte. Scritti 1928-1929 Torino 1993, p.83); possono rappresentare tutto l’universo del come se (facciamo come se questa sedia fosse un cavallo dice il bambino, facciamo come se questi frammenti sconclusionati e sbilenchi fossero il volto di Dora Maar dice Picasso), un universo che riesce a portare sulle spalle sia l’aura dell’opera unica che la fraterna attingibilità dell’oggetto, magari un giocattolo, prodotto in cento o mille esemplari.

Walter Benjamin (1892 -1940)
Walter Benjamin (1892 -1940)

Quello che ci preme ritrovare nelle cose che compriamo, o regaliamo o ammiriamo e ci lasciamo alle spalle, è “l’antica connessione anima, occhio, mano… quella artigianale, che ritroviamo dove è di casa l’arte del narrare. Possiamo anzi proseguire e chiederci se il rapporto che il narratore ha con la sua materia, la vita umana, non sia anch’esso un rapporto artigianale. Se il suo compito non sia proprio quello di lavorare la materia prima delle esperienze – altrui e proprie – in modo solido, utile e irripetibile” (Walter Benjamin Il narratore. Saggio sull’opera di Nikolaj Leskov in Angelus Novus (1962) Torino 1994, p.273).

Ci piacciono insomma, soprattutto pensando ai bambini, ai loro giochi e ai loro spazi, oggetti-racconto pensati con la libertà dell’immaginazione e scritti con la perizia della tekne.
“Perché non vi è immaginazione che nella tecnica. La figura moderna non è quella del fanciullo o del folle, ancora meno quella dell’artista, è quella dell’artigiano cosmico” (Gilles Deleuze e Félix Guattari Mille piani, Roma 1980, p. 502).

Se ti piace il mio progetto, aiutami a condividerlo con più persone possibiliShare on Facebook
Facebook
Tweet about this on Twitter
Twitter
Share on Google+
Google+
Pin on Pinterest
Pinterest

1 thought on “L’artigiano cosmico, i bambini e il soffitto di Wittgenstein”

  1. Artigiano e artigianato non rappresentano infatti una categoria professionale a sé stante, ma definiscono e qualificano un modo di lavorare: sono parole che fanno riferimento a una cultura in grado di creare prodotti utili e unici, con un ossessione per la qualità e la cura maniacale del dettaglio (vedi Wittgenstein)…E dietro a questa cultura c’è prima di tutto il lavoro, quello svolto da migliaia di artigiani nel nostro paese, capace di produrre benessere (che non è solo ricchezza), perché restituisce dignità sia alle cose che alle persone…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *