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Le forme del sapere Sull'importanza degli oggetti

Teoricamente, ogni oggetto del mondo è educativo: l’uso che ne facciamo, l’azione che ci permette, la fisica e la scienza che lo regolano, l’estetica che lo caratterizza. Anche se l’obiettivo pedagogico era ben lontano dal pensiero che l’ha partorito, quell’oggetto può rivelarsi utile strumento educativo.
In quanti modi lo posso usare?” è la prima delle domande che Munari ci ha posto.

Bruno Munari con occhiali di cucchiai per giocare con il “concavo-convesso”, Monte Olimpino, 1980
Bruno Munari con occhiali di cucchiai per giocare con il “concavo-convesso”, Monte Olimpino, 1980

Nei vetri rotti delle damigiane del vino il maestro Federico Moroni indicava ai bambini la sorpresa dei giochi della luce. Era la scuola del Bornaccino, a Santarcangelo, nel dopoguerra. Una piccola scuola rurale che di oggetti educativi se ne poteva permettere pochi. Per questo lasciava che il mondo entrasse a fare scuola: i contorni delle foglie, l’osservazione degli insetti, il gallo che faceva capolino durante la lezione.

Sono i tanti “cadaveri” trovati da Alberto Manzi nel percorso da casa a scuola. Quante volte si era rivelato inutile per i suoi collaboratori progettare l’attività didattica: bastava che sul suo cammino ci fosse un qualsiasi animale abbastanza interessante e abbastanza morto da essere trasportato per studiare poi con i bambini come funzioniamo dentro.
E gli oggetti che ci raccontano l’invisibile restano strumenti sovrani di stupore.

L’oggetto è in relazione con il maestro.
Tanto più gli oggetti si vedono investiti di un ruolo centrale, tanto più sembra esserci la paura che diminuisca il ruolo dell’insegnante. Gli oggetti spostano l’attenzione dei bambini verso il loro ambiente di lavoro, prima fonte di scoperta e di apprendimento.
“Ancorati nella loro realtà economica, politica e sociale, gli oggetti scolastici non hanno cessato di evolvere secondo tre parametri: i metodi, le discipline insegnate, il livello d’istruzione. Non dimentichiamo che la volontà educativa implica che ci sia materia da trasmettere e che i supporti cristallizzino delle questioni di ordine pedagogico e didattico poste in un preciso momento storico rispetto al metodo di trasmissione dei contenuti” ci ricorda Elisa Perez in uno speciale dedicato all’infanzia sulla rivista francese Etapes (n. 225, maggio-giugno 2015).
Ci sono però oggetti che sembrano sopravvivere alle epoche: possiamo definirli ancora una volta scomodando il tanto citato Munari. Si tratta di oggetti insaturi, che suggeriscono e invitano il bambino a fare cose, a essere manipolati, spostati, pesati, abbinati. Sono materiali che non giocano da soli ma sono al servizio del bambino. Lo aiutano a esplorare delle idee, a inventarne di nuove, a metterle alla prova.
Pestalozzi e Froebel sono i fari di una teoria degli oggetti educativi capaci di suscitare domande, stimolare ricerche.

La Torre rosa di Maria Montessori, serie di cubi in legno, verniciati in rosa, che vanno da 1 a 10 centimetri di lato.
La Torre rosa di Maria Montessori, serie di cubi in legno, verniciati in rosa, che vanno da 1 a 10 centimetri
di lato.

Maria Montessori aveva a lungo osservato i bambini per poter comprendere. Il suo materiale permette di ordinare le informazioni che provengono dal mondo sensibile: “Il giovane esploratore non è mai inattivo. Tutto l’attira. Svela le qualità agli oggetti che osserva: forme, texture, colori, peso, misure, composizioni, usi. Da tutto questo, egli costruisce il suo essere mentale. Così, a forza di toccare, brandire, comparare, spostare, annullare e ripetere, persegue il suo lavoro.” (E. M. Standing, Maria Montessori, sa vie, son oevre. Desclée de Brower, 1972, 1995, Edition française, p. 72).

Pier Paolo Pasolini nelle Lettere luterane (1976) scrive: “L’educazione data a un ragazzo dagli oggetti, dalle cose, dalla realtà fisica – in altre parole dai fenomeni materiali della sua condizione sociale – rende quel ragazzo corporeamente quello che è e quello che sarà per tutta la vita. A essere educata è la sua carne come forma del suo spirito.”

Oliver Wolf Sacks, neurologo e scrittore, nel libro Zio Tungsteno. Ricordi di un’infanzia chimica (2001), racconta: “Molti dei miei ricordi d’infanzia sono legati ai metalli – come se avessero esercitato su di me un potere immediato. Spiccando sullo sfondo di una realtà eterogenea, si distinguevano per la lucentezza, il bagliore, l’aspetto argenteo, la levigatezza e il peso. A toccarli erano freddi e quando venivano percossi, risuonavano”.

Gli oggetti ci presentano una questione che ancora la scuola non ha risolto: come trasformo dei concetti teorici in esperienze che il bambino può padroneggiare?
Cerco tra il materiale didattico disponibile nei cataloghi scolastici: ogni insegnante si rende conto di quanto spesso il livello sia basso. L’estetica dell’oggetto sembra essere un problema superfluo, un lusso per scuole che possono permetterselo.
La comunicazione visiva, tattile e sensoriale di qualità viene spesso sacrificata per inseguire un prezzo basso. Poco importa se poi quel materiale verrà usato poco perché poco stimolante. Il consumismo educativo chiede che si rispettino le sue esigenze di bilancio.

Proviamo allora a riaprire quegli armadi scolastici che i bidelli hanno chiuso da tempo: kit colorati per studiare la geometria, carte da abbinare per ricomporre le forme, forme di legno che profumano di scuola.
Per gli oggetti educativi sembra che il nostalgico design del passato sia rimasto eccellenza ancora oggi. La ricerca a un certo punto si è fermata.
O, vogliamo sperare, si è nascosta. Nelle cattedre di quelle maestre e maestri che riadattano oggetti per stimolare i loro bambini, per aprire domande sul mondo e sull’esperienza quotidiana.
Quando una moderna Maria Montessori ci farà vedere il materiale didattico pazientemente ideato?

“Le viseur, un jeu pour apprendre à regarder” édition Espace de l’Art Concret Mouans-Sartoux, design: Gottfried Honegger
“Le viseur, un jeu pour apprendre à regarder”
édition Espace de l’Art Concret Mouans-Sartoux, design:
Gottfried Honegger
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