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Sonia, l’eredità e le forme del colore

Nel romanzo Il nome della rosa di Umberto Eco, Guglielmo di Baskerville istruendo il suo allievo Adso sui massimi sistemi dice: “Siamo nani, ma nani che stanno sulle spalle dei giganti”. La frase detta da Sean Connery nella parte dell’investigatore medievale suona ancora più convincente. La metafora è frutto in verità di un filosofo francese del dodicesimo secolo, Bernardo di Chartres, e proprio nella cattedrale di Chartres, sulle alte vetrate che stanno sotto il rosone del transetto sono rappresentati, giganteschi, i profeti Geremia, Ezechiele, Isaia e Daniele che tengono sulle spalle le figure assai più ridotte degli evangelisti Marco, Giovanni, Luca e Matteo. Insomma, noi che veniamo dopo, possiamo vedere più cose e più lontano non perché abbiamo la vista più acuta ma perché siamo sollevati a un punto di vista migliore. Questa visuale panoramica è la nostra eredità culturale, è il materiale che adoperiamo per costruire nuovi edifici di pensiero, nuove immagini, nuove storie.

Mettiamo ora un bambino lassù sulle spalle del gigante cantastorie: cosa vedrà?

Molto lontano riconoscerà Esopo: schiavo a Samo nel sesto secolo avanti Cristo, nel quinto secolo è già famoso in Atene come l’autore di favole che hanno per protagonisti gli animali, ma che parlano degli uomini. Mettendo a fuoco i secoli successivi il nostro vedrà affiorare le favole “esopiche” dai testi della letteratura ellenistica e bizantina e fermando lo sguardo sul primo secolo dopo Cristo scorgerà Fedro intento a scrivere i suoi cinque libri di favole, per lo più rifacimenti di quelle di Esopo ma con una decisa inclinazione per la morale. Ora il tempo si avvicina al primo piano: nel medioevo le favole di Fedro circolarono anonime sino all’edizione del 1596 di Pierre Pithou e settant’anni più tardi Jean De La Fontaine iniziò a pubblicare le sue traendo ispirazione sia da Esopo che da Fedro. Ora il bambino può scendere dalle spalle del gigante; ha scoperto che un semplice apologo allegorico come La formica e la cicala, di erede in erede, ha percorso mille anni, travestendosi appena nelle azioni e molto nello stile ma continuando a dire qualcosa di pungente e vero sulla natura umana.

Chiudiamo il libro delle favole, è ora di sedersi a tavola. Anche in cucina l’eredità culturale rivendica i suoi diritti: il pollo arrosto che abbiamo nel piatto è frutto del passaggio dalla natura, il crudo, alla cultura, il cotto, mediante il dominio della tecnica, il fuoco. E quando scuotiamo il capo perché il pollo arrosto non ci piace e non lo vogliamo, quel gesto è l’espressione di un’eredità inscritta nell’espressività del corpo, nelle convenzioni comunicative, nella storia di una cultura specifica.

Apriamo adesso il libro della storia dell’arte e fermiamoci al capitolo dedicato a Sonia Delaunay. Cosa ci ha lasciato in eredità?

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È stata questa la domanda che il Castello dei ragazzi di Carpi ha posto al Centro Zaffiria in occasione del Festivalfilosofia 2015 che quest’anno aveva nella parola “ereditare” il termine guida.
Cosa possono ereditare i bambini da Sonia Delaunay, l’artista che musei come la Tate di Londra e il Museo d’Arte Moderna di Parigi stanno riproponendo all’attenzione mondiale proprio in questi mesi?
La risposta inizia con la ricerca: è l’insegnamento del Metodo Bruno Munari (anche questa un’eredità fondamentale). Nelle pieghe della vita e dell’attività artistica di Sonia Delaunay troveremo il fil rouge che guiderà i bambini nel suo mondo di “contrasti simultanei”.
Il colore, “pelle di questo nostro mondo” come Sonia Delaunay amava definirlo, è stato il centro della sua ricerca artistica, insieme all’amato Robert Delaunay, anche lui pittore. Si conoscono a Parigi nel 1907. Sonia, nata in uno sperduto villaggio dell’Ucraina nel 1885 e adottata all’età di cinque anni dal ricco zio materno Henry Terk di San Pietroburgo, si è trasferita nella capitale francese dopo aver studiato all’Accademia di Belle arti di Karlsruhe. Nonostante la sua educazione cosmopolita, i ricordi della sua infanzia contadina, con il tempo e gli eventi scanditi da feste dove spiccavano i colori puri dei costumi tradizionali, resteranno sempre ben impressi in lei. La luce così attentamente osservata e studiata era un riflesso di quei ricordi. La sua infanzia era luce ma anche mistero, lei ne parlava pochissimo. Con il marito Robert Delaunay fondò la corrente artistica denominata “Orfismo” che esplora il pieno uso del colore in forme non figurative. Orfeo è il cantore che piega la natura alla sua musica, luce, e colui che discende agli inferi per amore, ombra.

La ricerca di Sonia e Robert Delaunay sui contrasti simultanei nasce dallo studio attento del libro De la loi du contraste simultané de couleurs di Michel Eugène Chevreul, pubblicato nel 1839. Sonia Delaunay ha indagato costantemente il rapporto tra colori e ritmo influenzando così il movimento americano Synchromism, che metteva in relazione colore e suono, ma anche Paul Klee e il gruppo Der Blaue Reiter. “Forms are organized according to an easily perceived rhythm”. Nelle conversazioni parigine con i protagonisti della scena artistica del loro tempo, i Delaunay parlavano spesso della loro arte in termini musicali.

Deux fillettes finlandaises, 1907, Kunsthalle, Emden. È l'anno in cui Sonia Terk conosce Robert Delaunay a Parigi. Il colore sembra prendere ancora ordini dalla forma, ma ormai non si tratta che suggerimenti, appena sussurrati. Gli oggetti sono improvvisazioni cromatiche e solo il rosso assicura il mantenimento dell'ordine.
Deux fillettes finlandaises, 1907, Kunsthalle, Emden. È l’anno in cui Sonia Terk conosce Robert Delaunay a Parigi. Il colore sembra prendere ancora ordini dalla forma, ma ormai non si tratta che suggerimenti, appena sussurrati. Gli oggetti sono improvvisazioni cromatiche e solo il rosso assicura il mantenimento dell’ordine.

Armonie e dissonanze (nel colore e nella musica), colore e forme geometriche (“interplay of abstract elements in a pure state”), la tela come luogo di una lotta: “playing color against color and form against form”: sono gli elementi che emergono distintamente nel lavoro di ricerca artistica di Sonia.

Sonia Delaunay, Rythme, 1938, Musée National d'Art Moderne, Centre Pompidou, Paris. La forma rivendica i suoi diritti musicali.Il colore s’incarica delle altezze del suono, del timbro e batte il tempo con il pennello.
Sonia Delaunay, Rythme, 1938, Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou, Paris

La Delaunay ha coniugato il lavoro artistico con quello di designer e gli oggetti diventano il nuovo spazio in cui i colori e il loro ritmo cercano un temporaneo equilibrio: un esempio è la coperta realizzata nel 1911 per il figlio Charles composta da pezzi di tessuto simili a quelli usati nelle case dei contadini russi. La ricerca sul colore non perde la sua forza esercitandosi su materiali differenti.
È il momento di mettere a frutto l’eredità di Sonia Delaunay; progettiamo le esperienze da proporre ai bambini, seduti comodamente sulle spalle di quel delizioso gigante. Torniamo a Carpi, nella piazza-laboratorio.

Le parole chiave sono:

  • forme geometriche, colori primari, luce: nel laboratorio vengono proposte delle forme geometriche quadrate e rettangolari nei 3 colori primari. Gli strumenti permettono di ottenere cerchi e triangoli: bucatrici e fustellatrici, forbici e punteruoli. Componiamo sculture volanti in cui i colori interagiscono tra loro e con la luce, in un gioco di ombre riflesse;
  • colore e ritmo: le forme geometriche, in maxi formato e nei colori primari, sono lo strumento per giocare con il ritmo e sperimentarlo con il corpo e il colore. Ogni colore ha una sua sequenza musicale e i bambini accettano di coordinare corpo, movimento e ritmo usando il colore come strumento guida.
  • colore, forme, design: le forme geometriche diventano la base di partenza per progettare gli oggetti della moda quotidiana (vestiti e cappelli) con cui i bambini sfileranno per le vie di Carpi.

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Così Carpi, in occasione del Festivalfilosofia, si è riempita dei colori di Sonia Delaunay.
E mentre gli adulti ascoltavano i più importanti filosofi del momento, in piazza Garibaldi i bambini giocavano con la filosofia. Lo hanno fatto attraverso un oggetto/progetto nato ispirandosi ai contrasti simultanei della Delaunay. Si chiama Sonia Di, per renderle omaggio. È un gioco Italiantoy firmato da Simona Balmelli: è una scatola per l’architettura con cui costruire villaggi e singoli edifici ma anche per giocare a catturare la texture di splendidi pavimenti in rilievo, geometrici, da scoprire con i colori scelti dai bambini.

Le foto sono state scattate in occasione del Festivalfilosofia Ereditare presso Carpi. Le iniziative sono state promosse dalla Biblioteca e Castello ragazzi in collaborazione con Zaffiria e con la Libreria Radice-Labirinto.

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