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LA SOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ARTE Prendete un foglio di carta, posatelo sopra un pezzo di corteccia e strofinate con una matita a punta grassa. Anche la scorza più dura comincerà a sognare.

Quando non si sa che pesci pigliare davanti a una platea curiosa, ma non troppo, e indifesa, ma non troppo, ci si attarda in espressioni fàtiche, giusto per non perdere il contatto. Cos’è l’arte sostenibile? Di quali storie si nutre per spuntar fuori a prendersi un raggio di sole? Nelle scienze ambientali e nell’economia è sostenibile quello sviluppo che permette di soddisfare i nostri bisogni senza compromettere quelli delle generazioni future. Con le complicazioni dovute al fatto che non siamo sicuri di sapere quali saranno i sogni dei nostri nipoti e cosa sarà necessario perché si realizzino. La sostenibilità è la stabilità di un ecosistema. Un ecosistema in equilibrio è implicitamente sostenibile e questo equilibrio non va disturbato, per quanto possibile: non va aggredito, logorato, spogliato, inquinato. Non va minata la sua resistenza, la sua capacità di resilienza.

E l’arte? L’arte può riflettere, simbolizzare, metaforizzare, indicare, illuminare o dare l’esempio. Può persino tacere, quando si tratti di ascoltare che cosa ha da dire in proposito la natura. Si può affermare che quando Duchamp creava i suoi ready-made, prendeva cioè un oggetto quotidiano, a volte ormai inservibile, e invece di gettarlo o impiegarlo per la sua precipua funzione lo risemantizzava come opera d’arte, praticava un’arte sostenibile. La Scultura viva (1961) di Piero Manzoni, una modella nuda firmata dall’artista, riduceva a zero lo spreco di senso e di energia necessari a ri-produrre il reale.

Marcel Duchamp (R. Mutt) Fontaine [ready-made] 1917
Marcel Duchamp (R. Mutt) Fontaine [ready-made] 1917
Piero Manzoni Scultura viva 1961
Piero Manzoni Scultura viva 1961

 Allo stesso modo era un’arte sostenibile quella degli esponenti della land art, o enviromental art o arte povera. Dennis Oppenheim con i suoi cerchi nella neve (Annual rings, 1968) o le ipnotiche tracce ondulate sui campi pronti per la semina (Directed Seeding Wheat, 1969) cercava di integrare idea e natura attraverso un gesto espressivo che lasciasse una traccia quanto più possibile esile, non senza un’ansia di sparizione e dissoluzione nel tutto.

Dennis Oppenheim Annual Rings 1968
Dennis Oppenheim Annual Rings 1968
Dennis Oppenheim Directed Seeding Wheat 1969
Dennis Oppenheim Directed Seeding Wheat 1969

Richard Long intervenendo con altrettanto pudore su prati, radure, dune di sabbia, vi stilizzava però una calligrafia di segni più precisi e decisi, anche se pur sempre destinati a rapido decadimento. Negli stessi anni Mario Merz esponeva in galleria un mucchio di terra che conteneva l’idea di un oggetto, magari un igloo, dichiarando la sua finzione. Ai nostri giorni Jeroen Nelemans nel suo progetto-video SunSet (2007) mostra su un paesaggio urbano, che comprende al suo orizzonte il lago Michigan, il riflesso luminoso e rotondo della luce rossa emessa da una lampada piazzata dietro la finestra di un alto edificio. Al primo sguardo sembra di osservare un malinconico tramonto invernale.  Vaughn Bell poi per attirare la nostra attenzione sul consumo indifferente della natura, ipotizza e fotografa un universo parallelo dove le piante sono trattate da animali domestici o amici, sono adottate, portate in giro come cagnolini, coccolate.

Richard Long England 1968
Richard Long England 1968
Jeroen Nelemans SunSet 2007
Jeroen Nelemans SunSet 2007
Vaughn Bell Land Adoption (Piante da adottare) 2014
Vaughn Bell Land Adoption (Piante da adottare) 2014

Walt Whitman ha scritto nel quarto libro della raccolta Foglie d’erba, intitolato Figli di Adamo:

noi siamo Natura, a lungo siamo mancati, / 
ma ora torniamo, / 
diventiamo piante, tronchi, fogliame, radici, corteccia

 Dunque si può entrare nell’arte sostenibile anche per la porta della poesia.

O forse l’erba stessa è un bambino, il bimbo generato/ dalla vegetazione. / O un geroglifico uniforme

 Scrive poi Whitman nel Canto di me stesso. Diventiamo piante, corteccia, erba: abbiamo il presentimento di un’organica affinità, non del tutto rivelata, con il mondo vegetale. Oltre a questo leggiamo nella natura l’origine di una sterminata tessitura di forme, disegni, ideogrammi, ricami, decorazioni, che ci fanno cenno dai luoghi più impensati.

Walt Whitman, all'età di 35 anni, come appare sul frontespizio della prima edizione di Leaves of Grass (Foglie d’erba), 1855.
Walt Whitman, all’età di 35 anni, come appare sul frontespizio della prima edizione di Leaves of Grass (Foglie d’erba), 1855.

Lo scrittore polacco Witold Gombrowicz in un romanzo del 1965, Cosmo, così descrive la delirante deriva di uno sguardo impegnato a investigare una parete:

mi avventurai in posti siti sopra l’armadio (…) e giunsi fin sul soffitto nel deserto bianco; nei pressi della finestra, però, il monotono biancore si trasformava in una zona porosa, più scura, contagiata di umidità, con una complicata geografia di continenti, di baie, di isole, di penisole, di strani cerchi concentrici, simili a crateri lunari, e di altre linee sbieche, sfuggenti (…) osservavo ed osservavo, senza sforzarmi troppo e tuttavia con insistenza, finchè non fu come se varcassi una soglia – e subito mi trovai un po’ «dall’altra parte»

Witold Gombrowicz a Vence, in Francia, nel 1965, anno in cui fu pubblicato il suo romanzo Cosmo
Witold Gombrowicz a Vence, in Francia, nel 1965, anno in cui fu pubblicato il suo romanzo Cosmo

In questo brano di Gombrowicz c’è l’eco delle parole di Leonardo da Vinci, che nel Trattato della pittura scriveva:

Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de’ muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli o fanghi, od altri simili luoghi, ne’ quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che destano l’ingegno del pittore a nuove invenzioni sí di componimenti di battaglie, d’animali e d’uomini, come di varî componimenti di paesi e di cose mostruose, come di diavoli e simili cose, perché saranno causa di farti onore; perché nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni”

 Nella confusione lo sguardo, artista eco-compatibile, isola l’oggetto del suo desiderio e vi aderisce come un cacciatore solitario al suo negli affari di cuore. Luigi Ghirri svela nelle sue fotografie le opportunità creative che possono nascere dall’adempiere gli insegnamenti di Leonardo combinandoli con una visione originale e potente. Un’immagine della sezione Si chiude al tramonto, parte della mostra postuma Vista con camera alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, 1992, inquadra dal basso come se l’artista fosse disteso ai piedi dell’albero, un velame di foglie minute, disposte a raggi che si allargano in cerchi, quasi che il cielo fosse uno stagno colpito da minuscoli sassi e mosso da onde concentriche. L’effetto visivo evoca anche quei quadri di poco prezzo, e minor talento, dove l’effetto del fogliame nelle piante è ottenuto tamponando sulla tela una spugnetta imbevuta di colore. Ma qui la varietà di toni, da un verde cinerino al giallo fondente, e i piani di luce che si sovrappongono senza amalgamarsi, sono l’indizio di una intenzione tutt’altro che sbrigativa e accomodante: la trama vegetale è una cesura temporale che ci separa da un ricordo o dal futuro. Vi è poi una precisione giapponese, come nelle piogge di Hiroshige, a donare l’impressione che la pellicola fotografica, o la carta sensibile, siano state sovrapposte alla materia naturale come in un frottage.

Luigi Ghirri, Ravenna, 1986.
Luigi Ghirri, Ravenna, 1986.

Nel frottage, da frotter «strofinare», tecnica che ascriviamo di diritto alla sostenibilità, si strofina appunto con la matita un foglio di carta steso su una superficie ruvida o con leggere sporgenze. Si produrranno «disegni automatici», che anticiperanno e sorprenderanno l’artista, mitigando il suo ego ed esaltando però il suo occhio nello scegliere la materia e la sua mano nel decidere forza, durata e ritmo del gesto.  Tutti abbiamo provato a trasferire l’immagine di una moneta e ci siamo meravigliati di quell’affioramento progressivo, inaspettato come un numero di magia ben riuscito.

 Max Ernst, il pittore surrealista, che ha riportato in auge il frottage nel suo albo Histoire naturelle pubblicato nel 1926 per le edizioni Jeanne Bucher, fa ascendere questo procedimento proprio al testo di Leonardo che abbiamo citato poco sopra. Con una certa teatralità indica giorno e luogo esatti dell’illuminazione, il 10 agosto 1925 in riva all’Atlantico. Ernst ha trascorso le vacanze a Pornic, una piccola spiaggia della costa bretone ed è qui che ha l’intuizione, osservando un pavimento consunto:

Max Ernst fotografato da Frederick Sommer, con un bizzarro effetto di auto-frottage
Max Ernst fotografato da Frederick Sommer, con un bizzarro effetto di auto-frottage

trovandomi in una locanda in riva la mare con pioggia e cattivo tempo, fui colpito dall’ossessione che il pavimento, con i solchi delle venature accentuati da mille lavaggi, esercitava sulla mia vista eccitata. Decisi allora di interrogare il simbolismo di questa ossessione e, per venire in aiuto alle mie facoltà allucinatorie e meditative, ricavai dalle tavole del pavimento una serie di disegni, posando su di esse dei fogli di carta che incominciai a strofinare con la grafite. Guardando attentamente i disegni così ottenuti, le loro parti oscure e quelle in dolce penombra, fui sorpreso dall’improvvisa tensione delle mie facoltà visionarie… Scosso e meravigliato nella mia curiosità, cominciai a interrogare a casaccio, utilizzando lo stesso procedimento, ogni genere di materiale che si trovasse alla portata del mio sguardo: delle foglie con le loro venature, i bordi sfilacciati di una tela di sacco, i colpi di pennello di un quadro “moderno”, un filo srotolato di bobina, ecc. I miei occhi hanno allora scorto teste umane, animali differenti, una battaglia che finisce in un amplesso (la fidanzata del vento), delle rocce, il mare e la pioggia, dei terremoti, la sfinge nella sua scuderia, delle piccole tavole intorno alla terra, la tavolozza di Cesare, delle false posizioni, uno scialle dai fiori di brina, le pampas

Max Ernst L’évadé da l’Histoire naturelle 1926
Max Ernst L’évadé da l’Histoire naturelle 1926
Max Ernst, Histoire Naturelle
Ancora due pagine dal libro di Max Ernst, Histoire Naturelle: a sinistra Petìtes tables autour de la terre e a destra Le Châle à fleurs de givre.

Siamo sempre all’uomo disteso con gli occhi al soffitto, o sotto un albero, o al bambino che nella fessura di un muricciolo a secco vede un canyon e nel muschio una prateria. È una metamorfosi continua che intreccia il minerale e il vegetale, sottoposta per di più a un montaggio delle attrazioni, per cui una forma richiamandone un’altra la suscita e se ne fa invadere o estromettere. Ancora Max Ernst:

fiori di conchiglie, di piume, di cristalli, di meduse e di canne. Tutti gli amici si trasformano in fiori. Tutti i fiori si trasformano in uccelli, tutti gli uccelli in montagne, tutte le montagne in stelle. Ogni stella diventa una casa, ogni casa una città.

Max Ernst Le fleuve amour
Max Ernst Le fleuve amour [frottage, grafite su carta] 1925

In conclusione citiamo una creazione sostenibile di Giuseppe Penone, vincitore nel 2014 del più ambito riconoscimento ufficiale al lavoro di un artista, il Praemium Imperiale assegnato dalla Japan Art Association. L’opera è Scrigno (2007) e in qualche modo parla anche di Whitman (noi siamo Natura, … corteccia) e del frottage: è una monumentale striscia di cuoio orizzontale su cui è forzata in negativo l’impronta di una scorza d’albero; al centro è sovrammesso un piccolo, sottile, tronco in bronzo, diviso in due metà vuote verniciate internamente d’oro, delle quali una è riempita in resina: luce e linfa. La natura è diventata traccia dell’arte che tiene in sé la memoria del suo oggetto.

Giuseppe Penone Scrigno 2007
Giuseppe Penone Scrigno 2007
1 - Giuseppe Penone Scrigno 2007
Giuseppe Penone Scrigno 2007

Rasserenati riassumiamo: l’arte sostenibile nasce dallo sguardo che non cerca ma trova, è organica, è riflessiva, è pronta a cedere il passo al caso, è Natura. O è tutt’altro.

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