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Un libro non è (solo) un testo e non si può spegnere né uploadare né formattare né scaricare

Nei giardini che il viaggiatore inglese Thomas Hanbury, esportatore di tè a Shangai, creò sul promontorio ligure della Mortola a pochi chilometri dal confine francese, una delle meraviglie più luminose e tenaci sono le piante di rosa banksiae arrampicate in un abbraccio giallo e profumato agli alberi d’alto fusto. È una rosa arrivata in Inghilterra dalla Cina all’inizio dell’Ottocento, dal vivaio Fa Tee di Canton. È una rosa senza spine. Ecco: il libro per me è stato una rosa senza spine, la prova materiale che, nonostante lo scetticismo di Orazio, qualcosa poteva esistere ab omni parte beatum.

Rosa banksiae. Una sua variante americana la ‘Yellow Rose of Texas’ regalò il titolo a una canzone divenuta popolarissima tra i soldati confederati della Texas Brigade durante la Guerra Civile.

Il libro è un caso speciale di oggetto/organismo, è cioè l’esempio più complesso e convincente di quei manufatti inanimati, di cui è ricco il cinema di Ozu Yasuijro, che posseggono però un carattere e qualità immateriali. I libri ci guardano; sono pazienti, promettenti, memoriosi e gioiosamente promiscui. Di più, il loro fascino non è semplicemente intellettuale ma fisico, il loro corpo più o meno armonioso, decorato nei modi più diversi, ha peso, volume, colori, caratteristiche individuali. Sono stampati su carta di Cina con i tipi del Bodoni, o su carta di cotone con quelli dell’Helvetica e aprendo un’edizione qualsiasi delle Mille e una notte non è insolito indovinare profumo di spezie, o sentori salmastri tra le pagine di Moby Dick. I fogli sono lisci, o ruvidi, sottili o spessi, bianchi o avorio, o del colore delle candele di sego che affliggevano le tristi sere di Eugenie Grandet. Persino Don Abbondio, che s’avanza per la viottola del romanzo con la testa china sul messale, ci è meno antipatico grazie a quel libro sfogliato e borbottato, che ne completa il passo e la figura come un testimone silenzioso e sapiente delle sue paure.

Don Abbondio in un disegno di Giovanni Fattori che nel 1895 rispose all’invito dell’editore Hoepli di partecipare a un concorso che avrebbe prescelto l’illustratore del romanzo di Alessandro Manzoni. Fattori non vinse e il suo pretucolo sembra più smarrito che distratto, con quel messale tenuto come inutile guida e ultimo appiglio.

I giovani personaggi dei romanzi di Goethe hanno sempre un libro in attesa e ci tengono dentro le proprie passioni in perenne disponibilità. Una delle cose che più mi piacevano nei film di Jean-Luc Godard era la presenza costante e capricciosa di libri tra le mani dei suoi protagonisti. Libri per me misteriosi, che avrei voluto tutti possedere. Il libro, limitato ingombro nello spazio con infinita estensione temporale, è una prova della vivida sopravvivenza della frase di McLuhan, il medium è il messaggio, che pur disancorata dal porto sicuro del contesto in cui è stata proclamata continua a interrogarci fingendo di rispondere alle nostre domande.
Il libro è solo il suo contenuto? Certo che no.
L’iPad, lo smartphone, il pc non sono che delle scatole vuote dove il capitano Grant è vestito come l’ultimo dei Mohicani e il testo rinuncia alla terza dimensione per rifugiarsi in un universo dove ogni segno è uguale all’altro.

Ferdinand (Jean-Paul Belmondo) legge a sua figlia alcuni brani del libro di Elie Faure su Velasquez.
Jean-Luc Godard, Pierrot le Fou (1965).
Jean- Luc Godard, Un femme mariée (1964). Macha Méril legge la Bérénice di Racine (1639-1699).
Anne Wiazemsky e Jean-Pierre Léaud nella Chinoise (1967) di JeanLuc Godard.
Lui sta leggendo Eugène Oniéguine di Aleksandr Sergeevič Puškin (1799-1837).

La letteratura per l’infanzia poi, con le sue invenzioni grafiche, i formati bizzarri e carnevaleschi, le pirotecnie cartotecniche, non è digitalizzabile, comprimibile, formattabile.
Il libro attira la nostra attenzione anche quando è spento, scompare e riemerge dagli scaffali come un viaggiatore ed è signore incontrastato, ma anche prigioniero, di un regno policentrico: la biblioteca. Sì, perché il libro un limite ce l’ha: non si fa ridurre a bit microscopici come i cavalli dal raggio del terribile Dr. Cyclops nel film di Ernest B. Schoedsack.
Non puoi portarti in vacanza l’Enciclopedia Britannica e nessuno ti lascerà portare in treno gli atlanti ornitologici di mastro Audubon. Per questo ci sono le biblioteche.
Grazie alle biblioteche pubbliche la curiosità dei bambini non è imprigionata dalla disponibilità economica o di spazio, e le leggi del mercato non regolano le passioni e la voracità dei lettori. Per questo lo scrittore Neil Gaiman ha detto che se Google può dare centomila risposte a una domanda, un bibliotecario può indicarti la risposta giusta. In ogni caso prima di Internet e dei laptop, c’era chi non rinunciava a portare con sé la propria biblioteca, ben ordinata. Ha scritto Alberto Manguel in Una storia della lettura: “Nel X secolo Abdul Kassem Ismael, gran visir del regno di Persia, per non far confusione con la sua collezione di 117.000 volumi, quando se li portava in viaggio, li faceva caricare su una carovana di quattrocento cammelli che dovevano marciare in ordine alfabetico”.
Come suggerito da Erich Klinenberg in un recente articolo apparso sul «New York Times», le biblioteche aiutano i ragazzi (ma anche gli adulti) a misurarsi con l’etica della responsabilità, insegnando loro cosa significhi prendere in prestito qualcosa che appartiene a tutta la comunità e come prendersene cura, in modo che altri possano goderne allo stesso modo.
Questa funzione civilmente educativa delle biblioteche comprende anche la loro esemplarità in quanto memoria storica del sapere. Ogni libro è un frammento testimoniale del suo autore, del suo tempo, della società, del contesto culturale che l’ha prodotto, delle istituzioni che lo hanno conservato. Una collezione è una riflessione più ampia e distesa, determinata per temi o termini temporali o curiosità particolari, o per altre infinite tipologie. Vi ricordate la tassonomia di Borges redatta in Emporio celeste di conoscimenti benevoli?: “gli animali si dividono in: a) appartenenti all’Imperatore; b) imbalsamati; c) ammaestrati; d) lattonzoli; e) sirene; f) favolosi; g) cani randagi; h) inclusi nella presente classificazione; i) che si agitano follemente; j) innumerevoli; k) disegnati con un pennello finissimo di peli di cammello; l) eccetera; m) che fanno l’amore; n) che da lontano sembrano mosche”.
Questa lunga e divagante premessa ha il solo scopo di suscitare la giusta considerazione per un libro che è un oggetto piacevole, un catalogo intelligente e la porta di una biblioteca incoraggiante.
Il volume s’intitola Per gioco e sul serio. Libri di lettura e ricreazione del Fondo Antiquario di Letteratura giovanile Indire, a cura di Pamela Giorgi, Marta Zangheri, Irene Zoppi, INDIRE (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca educativa), Firenze 2018.


 
Il repertorio rende conto, con sintetiche schede descrittive e un corredo iconografico amplissimo, di un fondo librario, patrimonio rilevante se non unico nel suo genere in Italia, costituito inizialmente con i volumi in rassegna alla Mostra Didattica Nazionale tenutasi a Firenze nel 1925 che aveva il proposito di “esporre i risultati della riforma Gentile del 1923 e le innovazioni in corso in quegli anni nel sistema scolastico italiano”. È la testimonianza della nascita e dell’evoluzione di quel settore dell’editoria rivolto alle letture ‘per la scuola, la famiglia e il popolo’.
Il titolo più lontano nel tempo è la Grammatica ragionata della lingua italiana di Francesco Soave, pubblicato a Venezia nel 1802. Francesco Soave (1743-1806) fu anche, per breve tempo, maestro di Alessandro Manzoni, ma fu soprattutto il fondatore della prima Scuola normale italiana, a Brera nel 1788, dopo aver lavorato, due anni prima, alla riforma delle scuole elementari nella Lombardia austriaca. Ma quasi tutti i testi raccolti (poco meno di 500 tra libri e periodici per ragazzi) sono stati editi nel XIX secolo e comprendono scritti morali, sillogi educative, favole, collezioni di canzoni popolari, filastrocche, letture edificanti, dizionari, diari di viaggio, commediole, autobiografie, romanzi d’avventura e storici, poesie.


 
L’apparato critico che correda il catalogo contiene tra gli altri un corposo contributo di Marta Zangheri che costituisce una solida guida per una ricognizione tematica e cronologica dei libri inventariati. Il saggio prende l’avvio dalle numerose edizioni che nel primo ventennio dell’Ottocento tentavano di colmare l’assenza di opere di letteratura italiana per l’infanzia e la gioventù, con traduzioni da pedagogisti, filosofi e favolisti stranieri, soprattutto francesi. Ad esempio, L’amico dei fanciulli di Arnaud Bequin del 1812-1813 o I fanciulli bearnesi o sia lezioni di morale atte ad istruire e dilettare la gioventù; i quattro tomi di Madame Julie Delafaye- Brehier pubblicati nel 1820. Naturalmente il diletto non poteva essere appannaggio dei moralisti e l’educazione poteva bene travestirsi con i panni delle favole, da quelle esopiane trasposte nel 1782 dall’Abate Passeroni ai classici lavori di Perrault e La Fontaine, di cui si conservano nel fondo Indire due rare e belle edizioni illustrate da Gustave Doré: Le favole (Sonzogno, 1889) di Perrault tradotte in versi da Emilio de Marchi, e di La Fontaine Il libro delle fate (Editrice Lombarda, 188?). Ma ci sono anche i toscani Lorenzo Pignotti con le sue Favole, novelle e poesie varie con efficaci, anonimi disegni, e Luigi Fiacchi religioso insegnante delle Scuole Leopoldine a Firenze che s’ispira con le sue Favole e sonetti pastorali (1827) alla vita paesana e alle consuetudini del Mugello.


 
La determinazione a indirizzare i fanciulli alle grazie di una vita senza peccato e con molte virtù è sovrana. E così ecco libri diretti “all’istruzione de’ Giovinetti, a fine di eccitarli vivamente all’amore e alla pratica delle virtù sociali, e all’aborrimento de’ vizi”; e intere collane rivolte ai giovani colti e onesti, raccolte di “operette in prosa e in versi atte a formare la mente e il cuore della gioventù dilettando ed istruendo”. Nella seconda metà dell’Ottocento l’ampliarsi della platea di auspicati lettori, anche delle classi popolari, bisognosi d’istruzione ed esempio, moltiplica le opere a carattere formativo e pedagogico, senza dimenticare l’esaltazione della laboriosità e del dovere civile, virtù entrambe indispensabili all’Italia finalmente unita. Da qui poi un profluvio di manuali, grammatiche, prontuari morali, soprattutto atti a mettere in salvo le fanciulle da tentazioni che esorbitassero dalle virtù domestiche. E poi compendi scientifici ad uso di futuri geografi, entomologi, falegnami ed esploratori, ma anche novelle, racconti, filastrocche, piccoli eroi, boschi incantati e giannettini, ciondolini, maghi dalle sette teste, principesse, bambini e bestie, e pinocchi e birichini e cuori d’oro.
È una letteratura fitta di pseudonimi dietro cui spesso si nascondono signore di buona famiglia o maestre elementari, come Maria Antonietta Torriani (1840 – 1920) che divenuta Marchesa Colombi è presente qui con una pletora di titoli appassionanti, Addio, mia bella, addio…, La festa della Mia: chi va piano va sano, Un triste Natale, Le mele dei vicini, Le beneficenze della Gemma ecc.


 
Il catalogo avanza pure nel secolo scorso e ci fa incontrare le flessuose copertine liberty dei libri di Laura Cantoni Orvieto, le Novelle umoristiche di Momus, illustrate a tutta pagina da Giuseppe Garibaldi Bruno e Attilio Mussino (che aveva dato magnifica prova nel 1911 con Pinocchio), Le avventure di Fiammiferino di Luigi Barzini, allora in crisi con il regime e da poco licenziato dal Mattino di Napoli, La cronaca della settimana di quel Vamba che con Il giornalino di Giamburrasca aveva creato un capolavoro dedicato ai ragazzi “zero in condotta” di tutti i tempi. E ancora romanzi esotici e rocamboleschi, leggende popolari e avventure storiche, in cui tuttavia le finalità educative e morali costituiscono un paesaggio immutabile per quanto sfumato.
In conclusione Per gioco e sul serio mette in bacheca una scelta meravigliosa di periodici illustrati, giornalini, fogli ebdomadari e riviste di fumetti di cui merita almeno citare qualche nome tratto dal prodigioso elenco: L’amico dello scolaro, L’arte minuscola, Il Collodi, Narrando e conversando, La lucciola, Cuor d’oro, Il Corriere dei piccoli, La donnina, Frugolino, Il giornale di Fortunello, Il giornalino della domenica, Il giornalino dell’Eritrea, In bandiera!, Lucignolo: il giornale dello scolaro, Mondo fanciullo, La nostra penna, Novellino, Pioniere, Lo scolarino pisano, Il tamburino, Vita gioconda, Storiella: settimanale di allegria per i ragazzi italiani.

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