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IL GUSTO È UN RICORDO CHE NON HA PERSO IL SUO SAPORE Se i bambini nascono sotto i cavoli, è comprensibile che ai piccini non piacciano i broccoletti. Altri arrivano con le cicogne, perché i polli sono molto più utili arrosto.

«In questa credenza maturano fino alla perfezione trecentosessantacinque qualità di formaggio» spiegò Izanuela con voce tremula. «Una per ogni giorno dell’anno. Eppure questa squisita collezione è ben lungi dal rappresentarli tutti. È piuttosto una selezione soggettiva. I formaggi sono una questione di gusto, capisci?»

 Chi parla è una strega, una shockkia insignita del Pollice Verde, caseariana. Vive a Sledwaya sotto la tirannia di Succubio Malfrosto, l’Accalappiastreghe: lui è un eccellente alchimista che per i suoi esperimenti fa incetta del grasso di tutti gli animali di Zamonia. In particolare vorrebbe il grasso di Eco, un cratto, cioè un gatto con due fegati, dotato di parola e di una straordinaria intelligenza. Eco sta per morire di stenti e Malfrosto gli promette un mese di pasti luculliani in cambio del suo grasso. Il cratto accetta e firma. Il suo primo pasto comprende tra le altre prelibatezze un lago di latte corretto al miele su cui ondeggiano barchette di giunchi intrecciati i cui passeggeri sono piccioncini croccanti e pesci grigliati, e poi salsiccini ripieni di minuscoli scampi, cipolla tritata e pezzetti di mela aromatizzati con la salvia, cosce di pollo marinate nel vino rosso, cotolette d’agnello avvolte nel prosciutto crudo, cosparse di rosmarino e cotte in forno.

Questione di gusto. In questo caso quello di Walter Moers lo scrittore tedesco autore di L’accalappiastreghe. Favola culinaria zamonica di Gofid Letterkel. Ripoetata da Ildefonso de’ Sventramitis. Tradotta dallo zamonico e illustrata da Walter Moers.

Walter Moers, illustrazione di Eco, il cratto dai due fegati
Walter Moers, illustrazione di Eco, il cratto dai due fegati

 Il gusto, che si sia un cratto che mangia piatti deliziosi per salvarsi la vita, un bambino davanti alla crema di broccoli o un pastore che porta le sue capre a pascolare sul Partenone, indifferente a tutto quel marmo, ha sempre a che vedere con una rivelazione e con l’espressione di un giudizio. Il nostro palato attraverso gli organi del gusto riconosce innanzitutto il dolce, il salato, l’amaro, l’acido, il piccante. Quanto al piacere o al dispiacere che le papille del cavo orale ricavano da un certo cibo, è questione di educazione, esperienza, sensibilità.  Sensibilità ed esperienza sono termini che tra il XVII° e il XVIII° secolo la filosofia ha messo a punto per dare nuovi strumenti al giudizio estetico. Il bello cessava di essere una categoria oggettiva, regolata da leggi, e si sottometteva oltrechè alle considerazioni dell’intelletto e della ragione, anche a quelle del gusto.

 Nel primo volume della saga di Harry Potter, scritta da Joanne K. Rowling, all’eroe eponimo in viaggio verso la scuola di magia di Hogwarts vengono offerti da una donna sorridente, con due fossette sulle guance, una congerie di bizzarri dolcetti. I più strani sono delle gelatine che si chiamano Tuttigusti+1 e come ammonisce Ron, il futuro migliore amico di Harry,

tutti i gusti vuol dire proprio tutti i gusti… puoi trovare quelli più comuni come cioccolato, menta e marmellata d’arance, ma può capitarti anche spinaci, fegato e trippa. George dice che ne ha trovato alcune alle caccole.

 Harry non è così fortunato, ma sperimenta comunque quelle all’erba fresca, alle sardine, ai fagioli in scatola e poi al toast, al pepe, al curry, al caffè e alla noce di cocco: registra ogni esperienza organolettica con lo stesso indomito coraggio con cui affronterà i malvagi.

Le gelatine Tuttigusti+1: un’occasione fin troppo ghiotta per il merchandising di Harry Potter.  Che gusto avrà quella al sapore di verme? O quella al sapore di uova rotte?
Le gelatine Tuttigusti+1: un’occasione fin troppo ghiotta per il merchandising di Harry Potter.
Che gusto avrà quella al sapore di verme? O quella al sapore di uova rotte?

Nel Marcovaldo di Italo Calvino il gusto fa i conti con la fame, la pancia piena è un sogno, e le avventure gastronomiche inclinano alla malinconia se non al dramma. Quando una mattina, aspettando il tram, nella terra magra che costeggia l’asfalto, Marcovaldo intravede dei funghi pronti a spuntare, la gioia più pronta è quella dell’annuncio che farà della scoperta a moglie e figlioli che i funghi non li hanno mai visti. Non solo ma, al momento della raccolta, generosamente divulga il suo segreto e così in molti tra i passanti lo imitano e qualcuno propone perfino un pranzo tutti insieme. Poi ognuno va a casa propria:

Ma si rividero presto, anzi la stessa sera, nella medesima corsia dell’ospedale, dopo la lavatura gastrica che li aveva salvati tutti dall’avvelenamento: non grave, perché la quantità di funghi mangiati da ciascuno era assai poca.

La copertina della prima edizione di Marcovaldo, Einaudi 1963.  Il disegno è di Sergio Tofano (Sto), autore delle 22 illustrazioni poste a corredo del testo di Italo Calvino. Il nostro eroe è attratto da una prelibata sorpresa, i funghi di città.
La copertina della prima edizione di Marcovaldo, Einaudi 1963.
Il disegno è di Sergio Tofano (Sto), autore delle 22 illustrazioni poste a corredo del testo di Italo Calvino.
Il nostro eroe è attratto da una prelibata sorpresa, i funghi di città.

In un altro episodio Marcovaldo cammina avanti e indietro senza decidersi a mangiare le salcicce e le rape che la moglie gli ha messo per l’ennesima volta nella gamella. Le salcicce sospetta siano di cane e non c’è vegetale a lui più inviso della pallida rapa. Ma poi da un davanzale spunta un bambino

– Ehi, tu uomo! Cosa mangi?
– Salciccia e rape!
– Beato te! – disse il bambino
– Eh… – fece Marcovaldo, vagamente.
– Pensa che dovrei mangiare fritto di cervella…
Marcovaldo guardò il piatto sul davanzale. C’era una frittura di cervella morbida e riccioluta come un cumulo di nuvole. Le narici gli vibrarono.
– Perché: a te non piace il cervello?… – chiese al bambino
– No, m’hanno chiuso qui in castigo perché non voglio mangiarlo. Ma io lo butto dalla finestra.
– E la salciccia ti piace?…
– Oh, sì, sembra una biscia… A casa nostra non ne mangiamo mai…
– Allora tu dammi il tuo piatto e io ti do il mio.
– Evviva!

Nanni Loy, nei panni di Marcovaldo, offre incredulo la sua salciccia per un piatto di cervello fritto.
Nanni Loy, nei panni di Marcovaldo, offre incredulo la sua salciccia per un piatto di cervello fritto.
La riduzione televisiva del libro di Italo Calvino, in sei puntate, andò in onda sul secondo canale Rai con cadenza settimanale dal primo maggio 1970.
La regia era di Giuseppe Bennati che curò anche l’adattamento del testo insieme a Manlio Scarpelli e Sandro Continenza..
Il cervello fritto aguzza l’ingegno.
Il cervello fritto aguzza l’ingegno.

 Purtroppo l’arrivo di una governante interromperà l’idillio e la giusta redistribuzione del cibo secondo il principio del piacere. Le avventure del gusto di Marcovaldo sono tristi, frustranti e ingenue come la sua vita.

 Secondo il dr. Jackie Blisset della University of Birmingham, i bambini vivono in un ambiente sensoriale differente da quello degli adulti. L’esperienza dei gusti è molto più intensa e coinvolge la psicologia quanto la fisiologia. Alcuni bambini hanno poi un elevato livello di neophobia, una vera paura di assaggiare gusti nuovi. È un limite che spesso si può incontrare ancora negli adulti, anche i più avventurosi: Gulliver, ad esempio, nell’isola Glubbdubdrib grazie al potere dei negromanti locali, può evocare gli antichi e fare

la conoscenza di quasi tutti gli imperatori romani; anzi il governatore ebbe il gentile pensiero d’evocare i cuochi di Eliogabalo per prepararci il pranzo, ma non poterono sfoggiare tutta la loro bravura per mancanza degli ingredienti necessari. Un ilota d’Agesilao ci fece assaggiare una scodella di «brodetto nero» alla spartana, ma ci fu impossibile ingozzarne più d’una cucchiaiata.

Allo stesso modo fu impossibile al dodicenne Cosimo Piovasco di Rondò, il 15 giugno 1767, mangiare il piatto di lumache preparato dalla sorella Battista, cuoca provetta sebbene macabra. I suoi piatti: crostini con paté di fegato di topo, codini di porco arrostiti come ciambelle, teste di cavolfiore con orecchie di lepre su colletto di pelo di lepre. Davanti alle molli teste decapitate delle lumache infisse ognuna su uno stecchino al centro di un bignè, Cosimo preferì la fuga sugli alberi. Dove dimorò tutta la vita, come ci racconta ancora Calvino nel Barone rampante. Gulliver e Cosimo appartengono alla schiatta degli intrepidi, e pur cosmopoliti, ognuno a suo modo beninteso,  non piegherebbero mai il loro gusto all’ opportunità.

Ma come ci hanno insegnato le salcicce di Marcovaldo, anche la ripetizione può essere un’ostacolo alle gioie del gusto, quanto le novità dell’esotismo. Ne sapeva qualcosa Gian Burrasca oppresso, anche politicamente, dalla dittatura delle settimanali minestre di riso ma spinto alla ribellione solo dalla scoperta di quale fosse la vera ricetta della minestra di magro alla casalinga del venerdì, la preferita dai convittori del collegio Pierpaoli. Tale ricetta comprendeva un solo ingrediente: risciacquatura di piatti rigovernati nella stessa broda da cui erano passate le stoviglie dei giorni precedenti. Il gusto ha a che vedere con la verità?

Insomma, per tu’ regola, in questa caldaia si comincia a rigovernar la domenica e si dura fino al giovedì, sempre nella medesima acqua; e capirai bene che quando si arriva al venerdì l’acqua non è più acqua, ma è un brodo da leccarsi i baffi…

Si potrà dire: un quadro da leccarsi gli occhi? Si potrebbe almanaccare di una dieta optical con cui nutrire la muscolatura estetica dei bambini, cominciando a rinfrancarne lo sguardo appena svegli con il latte fresco versato nell’orcio dalla solida cameriera di Jan Vermeer.

Jan Vermeer, La lattaia, 1658-1660, Rijksmuseum, Amsterdam.
Jan Vermeer, La lattaia, 1658-1660, Rijksmuseum, Amsterdam.

A metà mattina invece quando gli sguardi dello scolaro divagano fuori dalla finestra in cerca del volo di un moscone, si dovrebbe attirare la sua attenzione con un sandwich di Claes Oldenburg.

Claes Oldenburg, Giant BLT (Bacon, Lettuce, and Tomato Sandwich), 1963,  Whitney Museum of American Art, New York.
Claes Oldenburg, Giant BLT (Bacon, Lettuce, and Tomato Sandwich), 1963,
Whitney Museum of American Art, New York.

Ma gli occhi che crescono hanno bisogno di natura, di luce, di aria aperta, di una tovaglia sull’erba e Le Déjeuner sur l’herbe di Claude Monet andrà benissimo.

Claude Monet, Le déjeuner sur l'herbe, 1865-1866, Musée d'Orsay, Parigi.
Claude Monet, Le déjeuner sur l’herbe, 1865-1866, Musée d’Orsay, Parigi.

Per non prendere l’abitudine alle occhiate superficiali, dategli tutto il tempo necessario ad analizzare piatti consistenti, come le torte e le bistecche di Roy Lichtenstein.

Roy Lichtenstein, Cherry Pie, 1962, Collezione privata.
Roy Lichtenstein, Cherry Pie, 1962, Collezione privata.
Roy Lichtenstein, Standing Rib, 1962, The Museum of Contemporary Art, Los Angeles [The Panza Collection].
Roy Lichtenstein, Standing Rib, 1962, The Museum of Contemporary Art, Los Angeles [The Panza Collection].

Infine per esercitare il colpo d’occhio, la scelta giusta sono le nature morte di George Flegel, piene di particolari curiosi e di piccoli incidenti narrativi.

George Flegel, Natura morta con ciliegie,1635, Staatsgalerie, Stoccarda.
George Flegel, Natura morta con ciliegie,1635, Staatsgalerie, Stoccarda.
George Flegel, Natura morta con topolino, 1630,  Alte Pinakothek /Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco.
George Flegel, Natura morta con topolino, 1630,
Alte Pinakothek /Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Monaco.

I bambini insomma devono imparare a dare peso al gusto delle cose, perché di quello saranno fatti i loro ricordi.

Ma quando di un lontano passato non rimane più nulla, (…) soli e più fragili ma più vivaci, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore permangono ancora a lungo, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sulla rovina di tutto, a sorreggere senza tremare – loro, goccioline quasi impalpabili – l’immenso edificio del ricordo. (Marcel Proust, Dalla parte di Swann, I, 58)

 

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