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SE AVESSI CINQUANTATRÉ MINUTI DA SPENDERE, CAMMINEREI ADAGIO ADAGIO VERSO UNA FONTANA (e non c’è niente di meglio che saltare nelle pozzanghere dopo una giornata di pioggia)

Dovendo impastare fantasia, invenzione e immaginazione, per trarne fuori un granello di comprensione, e dovendo mescolare gli ingredienti con qualche goccia di liquido che favorisca l’amalgama, niente di meglio che impiegare l’acqua che non c’è. Se ne può trovare in abbondanza per esempio, nei Mari della luna di Gianni Rodari:

Nei mari della luna
tuffi non se ne fanno:
non c’è una goccia d’acqua,
pesci non ce ne stanno.
Che magnifico mare
per chi non sa nuotare.

Ma Rodari scriveva questa filastrocca nel 1960 o giù di lì e anche se Armstrong non aveva ancora fatto rimbalzare i talloni nella polvere lunare, come un ragazzino giocherellone, sapevamo tutto del Mare della Tranquillità, detto così perché non conosce onda e risacca. Un paesaggio ben altrimenti vario, ricco di fresche e dolci acque, incontrò Astolfo andato sul nostro satellite in cerca del senno d’Orlando, furioso;

Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c’han le cittadi,
hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.

1- incisione realizzate da Gustave Doré
Particolare di una delle incisione realizzate da Gustave Doré per un’edizione del Roland Furieux: poeme héroïque, pubblicato da Hachette et Cie, a Parigi nel 1879. Astolfo arriva sulla luna in compagnia di San Giovanni Evangelista.
2- Giovanni Battista Galizzi, Astolfo e il senno d’Orlando
Giovanni Battista Galizzi, Astolfo e il senno d’Orlando, tavola in tricromia per un Orlando Furioso edito a Milano, Labor 1945. Sul primo scaffale, come un rimedio da speziale hoffmanniano il senno di Astolfo; sullo scaffale superiore il senno di Ariosto e quello dell’illustratore medesimo.

La saggezza degli uomini sta in certe ampolle, grandi a misura del senno perduto, su cui è applicato per chiarezza il nome del legittimo proprietario. Ma a noi serve solo sapere che un tempo anche sulla luna l’acqua era abbondante e ora è perduta, forse per il gran viavai di filosofi sofisti, astrologhi e poeti, corsi lassù a ripigliarsi l’ingegno. Ariosto ci spiega anche come accade che si perda il senno: alcuni per amore, altri per i gioielli, altri ancora per inseguire le arti di magia o i capolavori dei pittori, altri, ed è ciò che più ci interessa, in cercar, scorrendo il mar, ricchezze.

Il poeta aveva certo in mente i favolosi tesori che tornavano con le navi dalle Americhe, scoperte quarant’anni prima da Cristoforo Colombo per un fortunato accidente. Già, perché lui pensava di averne poca di acqua dinanzi alla prua e non di doversi misurare con Oceano, il maggiore dei Titani e padre di tutti i fiumi. Ma infine, scorrendo il mar trovò la terra, anche se non era quella che cercava, perché il mare porta ovunque, l’acqua non la ferma nessuno, e non c’è tesoro che non si possa raggiungere o impresa che non si possa compiere.

Meglio di tutti lo sapeva Giasone, figlio d’Esone e discendente di Eolo, quello che sul mare soffia. Tornato a Iolco, dopo essere stato allevato dal Centauro Chirone, il nostro eroe per rivendicare al fratellastro di suo padre il trono suo di diritto, venne spedito nella Colchide alla ricerca del Vello d’oro, custodito da un drago. Giasone allora si fece costruire una nave da Argo che questi chiamò col proprio nome e Argonauti divennero così i suoi compagni d’avventura: avventure così complicate, con personaggi tanto numerosi ed episodi tanto diversi nelle mille narrazioni ad essi dedicati, che neppure il dotto poema di Apollonio Rodio, le Argonautiche, li contiene tutti. Ma in tutte a eccellere è la nave Argo, secondo il mito la prima nave a solcare i mari, suscitando lo stupore del dio dei flutti, come ci ricorda anche Dante nel Paradiso:

la ‘mpresa
che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.

3 - Lorenzo Costa il Vecchio, La spedizione degli Argonauti,
Lorenzo Costa il Vecchio, La spedizione degli Argonauti, 1484-1490, Musei Civici agli Eremitani, Padova.

Nell’acqua del mito, o meglio in volo sopra di essa, si potevano incontrare anche le Sirene,  creature metà donna e metà uccello divoratrici di uomini: gli Argonauti seppero ignorare le loro pericolose melodie, distratti abilmente da Orfeo che cantava assai meglio. Allo stesso modo le Sirene non riuscirono a soggiogare neppure i marinai di Ulisse cui il condottiero aveva riempito le orecchie di cera. Quanto al re di Itaca le volle ascoltare sì, ma legato all’albero maestro da pesanti corde e stretti nodi. In acqua le Sirene ci finirono nel Medioevo: perse le zampe d’uccello, s’inguainarono in un tubino di scaglie di pesce e divennero dolcissimi demoni marini, donne bellissime dal ventre in su, promessa di una pace poco cristiana. Scrive ancora Dante, ma nel Purgatorio:

«Io son» cantava, «io son dolce serena,
che ’ marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!»

 

4 - Herbert James Draper, Ulisse e le Sirene
Herbert James Draper, Ulisse e le Sirene,1909, Ferens Art Gallery, Kingston Upon Hull, UK.                                                  L’acqua ovvero le tentazioni della giovinezza.

 Il filosofo francese Gaston Bachelard (1884 -1962), a differenza di Odisseo che teneva in gran conto la propria astuzia ma conosceva la debolezza dei sensi, e di Dante che al cantare della sirena solo con gran pena avrebbe distolto la sua attenzione, obietta con la ragione ai poteri incantatori dell’acqua, elemento a un tempo seducente e mortale:

Le ‘immagini’ di cui l’acqua è l’occasione o la materia non hanno la costanza e la solidità delle immagini fornite dalla terra, dai cristalli, dai metalli e dalle gemme. Non hanno il vigore delle immagini del fuoco. Le acque non costruiscono ‘vere menzogne’. Solo un’anima molto turbata può davvero ingannarsi di fronte ai miraggi di un corso d’acqua. Quei dolci fantasmi dell’acqua sono di solito legati alle illusioni un po’ artificiose di un’immaginazione divertita, di un’immaginazione che intende divertirsi.

 

Che l’immaginazione di Hans Christian Andersen intendesse divertirsi quando compose La Sirenetta è lecito dubitare. È malinconica la storia di questa figlia minore del Re del mare, “la più bella di tutte, dalla pelle chiara come un petalo di rosa, gli occhi azzurri come un lago profondo”, ma con una coda di pesce. Salita per la prima volta a quindici anni dalle profondità marine a vedere il mondo, la Sirenetta salva un giovane naufrago, principe e bello per di più, e subito si strugge per lui ma soprattutto si strugge dal desiderio di avere un’anima immortale come gli esseri umani. Non gli bastano i trecento anni di vita che l’aspettano in quanto sirena; molti di meno si accontenterebbe di vivere pur di avere l’anima, rinunciando a diventare schiuma di mare, convinta che un’anima immortale ancora possa godere dopo la morte di sole, fiori, onde.

La sua vecchia nonna, sicura come il filosofo greco Talete che l’acqua sia il principio di tutte le cose, tenta inutilmente di convincere la nipotina che nell’oceano si è più felici. Seguiranno nella fiaba diverse peripezie, sacrifici e disgrazie. La Sirenetta non avrà il suo principe e nemmeno la sua anima immortale, ma ne potrà avere una di straforo con tre secoli di pazienza servendo gentilmente come figlia dell’aria: cioè portando un po’ di salubre frescura nel clima pestilenziale dei paesi meridionali.

Ma non è nell’aria che si formano le visioni più belle, nell’aria ci sono nuvole e miraggi, morgane impalpabili, nell’acqua invece è la materia stessa che si trasforma e illude: l’acqua può tenere prigioniero il cielo e trasformare le stelle in tante isole sottomarine luminose, nell’acqua piovuta sull’asfalto estivo una goccia di benzina disegna fusciacche multicolori degne di un Vizir della ricca e popolosa città di Bagdad.

5 - John Leech, La Sirenetta in visita alla vecchia strega del mare
John Leech, La Sirenetta in visita alla vecchia strega del mare, illustrazione per la prima traduzione inglese (1846)                     della favola di Andersen a cura di Lady Duff-Gordon per la Bentley’s Miscellany, vol. 19.                                                                                          Il tocco disneyano è nella vivissima accolita di animali sottomarini.

 Nell’antica Grecia, a Lebadea in Beozia, vicino all’oracolo di Trofonio c’erano due fonti a cui dovevano bere quelli che si erano recati lì a consultare l’oracolo: la Fonte dell’Oblio (Lete) e la Fonte della Memoria (Mnemosine). Ma anche negli Inferi si trovava una Fonte dell’Oblio, alla quale i morti bevevano per dimenticare la loro vita terrena e le anime che risalivano alla vita bevevano per dimenticare ciò che avevano visto nel mondo sotterraneo. E secondo i romani chi fosse riuscito a bagnarsi nella fonte sgorgata dalla metamorfosi della ninfa Juventa sarebbe ringiovanito all’istante. Sono dunque due fonti d’acqua che custodiscono tutto ciò che l’uomo sa e tutto ciò che vuole dimenticare ed è ancora una fonte d’acqua a offrirci l’eterna giovinezza.

6 - Matelda immerge il poeta nel fiume Lete.
Di nuovo Gustave Doré, questa volta alle prese con il XXXI° canto del Purgatorio di Dante.                                                   Matelda immerge il poeta nel fiume Lete.
7 - Dante Gabriel Rossetti, Mnemosyne
Dante Gabriel Rossetti, Mnemosyne, 1875-1881, Delaware Art Mueum, Wimington, USA.

Quest’acqua che ricorda e dimentica è metaforizzata in una tecnica espressiva, la marmorizzazione, il cui procedimento di base è descritto dal maestro Charles Woolnugh a metà del diciannovesimo secolo nel suo The Art of Marbling. Si uniscono all’acqua, preparata in precedenza mescolandovi sostanze collose, pigmenti a olio insolubili nell’acqua stessa. I colori si possono far piovere o gocciare singolarmente, allungando e dando forma alle macchie con sottili asticelle. Poi si stende sulla superficie del liquido un foglio di carta per il tempo brevissimo che vi si deponga la memoria dei colori, i quali a loro volta avranno dimenticato il loro stato di frammentata insignificanza per riconoscersi nei meravigliosi arabeschi in cui l’acqua li avrà trasformati. Mnemosine e Lete, in una sola fonte.

8 - paper marbling
Di autore sconosciuto un bell’esempio di paper marbling ad uso editoriale, manifattura inglese 1830 circa.

E cercando di fermare l’acqua che ferma non vuole stare, impariamo da Erri de Luca che

sta nella nuvola e nel pozzo,
 nella neve e nella noce di cocco,
 negli occhi e nel fiume,
nell’arcobaleno e nel lago,
 nel ghiaccio e nel vapore della pentola sul fuoco,
 nella bocca.

E sta anche in una piccola fontana a cui si arriva con pazienza sperando di trovarvi un getto d’acqua fresca dopo una lunga passeggiata, come immagina Saint-Exupery:

“Buon giorno”, disse il piccolo principe.“Buon giorno”, disse il mercante.Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva piu’ il bisogno di bere.“Perché vendi questa roba?” disse il piccolo principe.“E’ una grossa economia di tempo”, disse il mercante.“Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatre’ minuti la settimana”.“E che cosa se ne fa di questi cinquantatré minuti?”“Se ne fa quel che si vuole…”“Io”, disse il piccolo principe, “se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana…” 
 

9 - il piccolo principe
Il Piccolo Principe 2015, nella versione cinematografica del regista Mark Osborne.                                                                        Non una trascrizione del libro di Saint – Exupery, ma un libero adattamento.                                                                                    In ogni caso, lo sguardo del protagonista sembra pronto a ogni miraggio.
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