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Stai una favola! Vestiti e visioni nelle fiabe dello schermo 1. Maleficent, il materno universale predilige la tunica

Roland Barthes scrivendo nel 1964 (Le malattie del costume teatrale) sulla funzione del costume teatrale indicava quali dovessero essere le sue prestazioni: “Innanzitutto, il costume deve essere un argomento”. Il costume non deve solamente essere visto, ma anche letto, deve comunicare “idee, conoscenze, sentimenti”. E ancora: “Il nucleo intellettivo, o cognitivo, del costume teatrale, il suo fondamento, è il segno. Nelle Mille e una notte c’è un magnifico esempio di segno vestimentario: ci viene detto che, ogni volta che era in collera, il califfo Harum Al Rachid indossava un abito rosso. Ebbene, il rosso del califfo è un segno, il segno spettacolare della collera”. Nell’analisi di Barthes il costume, insieme alla recitazione, alla scenografia, alla messa in scena ecc doveva manifestare il gestus sociale cui si riconduce ogni opera drammatica, cioè “l’espressione esteriore, materiale, dei conflitti di una data società, di cui l’opera è testimone”. Ma noi di fiabe vogliamo parlare, fiabe portate sullo schermo assai di recente dal cinema di Hollywood: Maleficent di Robert Stromberg, Cinderella di Kenneth Branagh e Into the Woods di Rob Marshall. Ciò non toglie che pensiamo le parole di Barthes valgano anche e proprio per queste trasposizioni cinematografiche, e giudichiamo sia forte in questo senso la loro capacità argomentativa rivolta a un pubblico infantile, a partire dal segno visivo più superficiale e immediato: i costumi.

Maleficent bambina nel film omonimo di Robert Stromberg ha l’aria serafica di un angioletto, ma con enormi ali scure e due corna da demonietto che non promettono nulla di buono: tanto più che ricordano, ingentilite, quelle esibite dal fauno in Pan’s Labyrinth di Guillermo del Toro, film del 2006 cui lo stesso Stromberg aveva collaborato come responsabile degli sfondi digitali (matte painting supervisor).
La piccola Maleficent indossa un abitino molto bio di colori terrosi che fa tanto crudité tessile. La presentazione di questa fatina (?) paradossale ubbidisce all’idea di insinuare nei piccoli (non troppo piccoli) spettatori l’inquietudine a dosi omeopatiche: ha una faccia simpatica e buona, due occhi stellanti e modi gentili, ma le ali sono due ombre minacciose, e le corna poi! Ha le stigmate di quello che in un western si chiamerebbe un bad good guy. La sua idea del bello è coerente con una corretta percezione di sé: per consolare un enorme e sgradevole albero scheletro, che suscita orrore, gli dice che la sua è una bellezza classica. Questo relativismo estetico ci spinge ad accettare di buon grado i bizzarri e disgustosi abitanti della brughiera e ci abitua ad accettare la promiscuità in cui vivono il bene e il male in due dei personaggi principali.

Stefan (Michael Higgins) e Maleficent (Isobelle Molloy) al loro primo incontro
Stefan (Michael Higgins) e Maleficent (Isobelle Molloy) al loro primo incontro

Stefan il contadinello che si affaccia alla brughiera incantata e vi incontra Maleficent è specularmente un personaggio all’apparenza buono che l’ambizione trasformerà nel peggiore dei vilain. Alla sua prima apparizione di fronte a Maleficent è vestito come i compagni della foresta nel Robin Hood di Ridley Scott, cioè come un guardiaboschi povero del Medioevo: ma i colori, il marrone nelle sue varie tonalità, sono in armonia con quelli della fata (o valchiria?). I cambiamenti del loro abbigliamento andranno di conserva, incupendosi fino al nero, alla ruggine, con il loro parallelo scivolare nella parte oscura di sé.
Variando notevolemente l’intreccio della Bella addormentata nel bosco, Stefan divenuto uomo tradirà Maleficent e il loro amore; non la ucciderà come gli chiede il suo re per farne il proprio erede, ma le strapperà le ali, incatenandola alla terra. Il regno di Maleficent cadrà nel buio e il cuore della fata diventerà di ferro. Stefan, divenuto re in virtù del tradimento, si sposerà e avrà una figlia, Aurora. Su di lei Maleficent lancerà la sua maledizione: a sedici anni la ragazza si pungerà con un fuso e dormirà sino a quando non la sveglierà un bacio di vero amore. Cioè in eterno, pensa la fata vendicatrice.
Il volto adulto di Maleficent (Angelina Jolie) ha gli zigomi aerodinamici di Crudelia Demon, la disneyana fanatica amante delle pellicce della Carica dei 101.

Maleficent, pronta alla vendetta
Maleficent, pronta alla vendetta
La carica dei 101 (101 Dalamatians), Walt Disney 1961, Crudelia  De Mon (Cruella de Vil)
La carica dei 101 (101 Dalamatians), Walt Disney 1961, Crudelia De Mon (Cruella de Vil)

Veste con semplicità pre-raffaellita, una sorta di nazarena che concentra nello sguardo, messo sull’altare dal viso triangolare, tutta la luminosità di una bontà destinata ad essere sacrificata. Senz’ali il suo vestito diventa un saio d’afflizione. Stefano invece, una volta re, soffoca il corpo in stoffe pesanti, broccati e pellicce, gioielli arroganti, cercando negli abiti e negli accessori la conferma della raggiunta ricchezza e trovando il kitsch. La favola racconta in superfice i cambiamenti più profondi dei suoi personaggi.

Re Stefan, il design del potere maschile
Re Stefan, il design del potere maschile

Diaval (Fosco nell’edizione italiana) è il corvo, l’aiutante panottico di Maleficent, drone sostitutivo delle ali perdute. Quando prende sembiante umano, forse per la modernità del suo compito (controllo globale di territorio, comunicazioni e relazioni), veste con sobrietà camiciola, giacchetta destrutturata e sciarpa nere a mezza via tra il Pete Doherty de Libertines e lo Zorro di Alain Delon.

Sam Riley è Diaval (Fosco) il corvo mutante
Sam Riley è Diaval (Fosco) il corvo mutante

Alla cerimonia per la presentazione di Aurora neonata, mentre le fate madrine svolazzano petulanti rubandosi la parola e la scena, Maleficent è pure lei completamente in nero, così come nera è divenuta la sua anima. Da questo momento fioriscono spinosi sui suoi costumi dettagli feroci: pelle di serpente, artigli, squame, piume dai riflessi metallici. La durezza delle materie è il segno della sua trasformazione. La Malefica del cartone animato The Sleeping Beauty prodotto da Walt Disney nel 1959, cui pure alcune mise della Jolie s’ispirano, era una cattiva molto più a suo agio in quei panni; in questo caso c’è nella fata buona passata al male, il fanatismo dei convertiti, c’è l’oltranza dei neofiti. È immutata la vocazione all’eleganza, come se per fare le cattive azioni fosse necessario un sovrappiù di vanità oltreché una ricchezza illimitata. I caratteri positivi sono contaddistinti dalla semplicità, la loro ricchezza è tutta interiore.

Ma poi – qui la variante radicale rispetto alla fiaba di Perrault – Maleficent suo malgrado impara ad amare davvero la piccola Aurora, che le fate madrine scioccherelle e sventate lasciano scorazzare tra i pericoli della brughiera anziché proteggerla. La piccola innocente fa riemergere la qualità del meraviglioso nel mondo che aveva armonizzato i colori e le luci al temperamento della sua padrona (solo neri, viola, cupi verdi e luci come fuochi fatui). Non cambia nulla nel paesaggio, è sempre uno scenario notturno, uguali sono i colori, ma nel montaggio che combina gli sguardi e i gesti di Aurora le fiammelle mortuarie ci sembrano lucciole benevole, le ombre minacciose diventano promesse eccitanti e così via. Ovvero: bambini fate attenzione, un cuore gentile ammansirà qualsiasi mostro.

Aurora sedicenne (Elle Fanning)
Aurora sedicenne (Elle Fanning)

A sedici anni Aurora si pungerà con il fuso, volontariamente perché le favole non possono essere cambiate del tutto; Maleficent che ormai si è trasformata per lei in una madre premurosa, la madre che la ragazzina non ha mai avuto e non avrà più (quella vera è morta senza rivederla mai), cerca inutilmente di cancellare la maledizione. Quando tenta di revocare il sortilegio, ormai tornata nel novero delle fate buone, il vestito si è fatto leggero, come tessuto in un bronzo di seta.
Arriva un giovanissimo principe, innocua figura maschile, abbigliato come un nobile medievale nelle feste di carnevale, per ribadire con l’approssimazione del costume la sua superfluità. Infatti il suo bacio non funziona. Il vero amore è quello di Maleficent, il materno, e sarà il suo bacio a svegliare Aurora che, aperti gli occhi, vede come prima cosa una lacrima scintillante sulla zigomo ossuto della Jolie.
Infine Maleficent ritrova le ali e uno spirito guerriero, quindi s’inguaina in una tutina di pelle nera come un’eroina Marvel e chiude i conti con re Stefano, altro maschio, non superfluo ma inutile al lieto fine.
L’alba dopo la battaglia è rosa, il vestito di Aurora (nomen omen) è d’oro e sorge come il sole nella luce ancora incerta, dorati sono i dettagli che impreziosiscono le ali e la tunica di Maleficent. Per la prima volta la fata indossa un abito che le lascia scoperte le spalle. Con ciò annuncia di avere fatto pace, grazie al sentimento materno, con il suo corpo che era stato cancellato (mutilato) dal tradimento maschile.
Con questo film e con il successivo Cinderella, entrambi dalla parte delle bambine e dei loro giochi di ruolo, Disney che lo sappia o no si prepara a festeggiare l’idea di una donna per la prima volta presidente degli Stati Uniti.

Maleficent (2104) di Robert Stromberg/ Angelina Jolie Maleficent / Isobell Molloy Maleficent bambina / Ellen Purnell Maleficent adolescente / Elle Fanning Aurora / Sharlto Copley Stefan / Sam Riley Diaval (Fosco)

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