Marion Crane in Psycho, di Alfred Hitchcock
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Tu chiamale se vuoi, emozioni La rappresentazione dell’invisibile

«Nel 1654, a corredo del romanzo Clélie, Madeleine de Scudéry pubblicò una mappa di sua creazione. La sua Carte du pays de Tendre – una mappa del paese della tenerezza – illustra un paesaggio multiforme: terra, mare, un fiume, un lago, alberi, qualche ponte e svariate città. Disegnata da uno dei personaggi femminili del romanzo per indicare la via che porta “alla terra della tenerezza”, è l’incarnazione di un viaggio narrativo. Visualizza cioè, in forma di paesaggio, l’itinerario emotivo di cui parla il romanzo».

Ritratto di Madeleine de Scudéry, 1607–1701, da A. Sainte-Beuve’s Portraits of the Seventeenth Century, Historic and Literary, trans. Katharine P. Wormeley, G. P. Putnam’s Sons, New York 1904.

Sono le parole iniziali di un libro tanto massiccio quanto di contenuto mobile, per non dire vagabondo: Atlante delle emozioni di Giuliana Bruno, dove si viaggia tra arte, architettura e cinema ma si resta sempre sotto l’egida di una sorprendente psicogeografia della cultura, vissuta con autobiografica intensità. Qui però, m’interessa accennare solo alla mappa della scrittrice francese: se l’emozione, in questo caso un numero cospicuo di emozioni suscitate dall’amore, ha una estensione temporale, potrà avere anche una distribuzione nello spazio e se ne potrà allora dedurre una geografia. Si potrà inventare un Reame della Passione, dove c’imbatteremo nel fiume dell’Inclinazione e in quello della Riconoscenza, nella Cittadina dell’Obbedienza e nel prossimo Villaggio della Tenerezza; ci sarà un Mare del Pericolo in cui sfoceranno le acque della Riconoscenza e che bagnerà le coste delle Terre Sconosciute (dei sentimenti incogniti). Intorno al lago dell’Indifferenza sorgeranno i paesi di Cuore Grande, Esattezza, Bontà, Probità e Oblio, mentre su una rocca isolata in vista di Perfidia, Indiscrezione e Malvagità, s’innalzerà il borgo fortificato di Orgoglio.

La Carte du Pays de Tendre contenuta nel primo volume del romanzo
Clélie: Histoire romaine dediée à Mademoiselle de Longueville , A. Courbé, Paris 1654–1661.

Modernamente lo stesso gioco diventerebbe un’infografica grazie alla quale, a colpo d’occhio, potremmo seguire un’emozione, non solo l’amore ma allo stesso modo la paura, il rimpianto, il disgusto, l’empatia, nel suo agglutinarsi o disperdersi, lungo il corso del tempo, diramandosi nelle sue molteplici sfaccettature.
Queste figurazioni narrative sono una mediazione tra il passo diegetico del racconto e l’istante cristallizzato di un’immagine. A quest’altro capo dei modi descrittivi dell’emozione, sta ad esempio un quadro che Caravaggio dipinse tra il 1593 e il 1595, Ragazzo morso da un ramarro: un giovinetto, dai tratti grossolani e un fiore tra i capelli, è morso al dito medio da una lucertola forse nascosta tra la frutta posata dinanzi a lui. L’animaletto, balzato fuori all’improvviso, disturbato dal gesto che ha smosso le foglie tra cui si era rifugiato, si è fatto annunciare dalla trafittura subito divenuta spavento. Il volto della vittima esprime un dolore preoccupato, il corpo è teso a sfuggire quell’orrore di cui sembra non aver compreso subito la natura. L’emozione del ragazzo è fermata in un’istantanea che ha però la complessa organizzazione di una messa in scena. È il “teatro degli affetti” che in epoca premoderna s’ingegnava di rappresentare i sentimenti e i moti dell’animo così che lo spettatore potesse condividerne la qualità e l’intensità. È un «genere» quasi codificato tanto che non è difficile riconoscere in un disegno di quarant’anni prima conservato al Museo di Capodimonte, Ragazzo morso da un granchio (1554 circa) di Sofonisba Anguissola, l’antecedente ispiratore del Merisi.

Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro
Michelangelo Merisi da Caravaggio Ragazzo morso da un ramarro, National Gallery, Londra.
Sofonisba Anguissola, Fanciullo morso da un granchio
Sofonisba Anguissola, Fanciullo morso da un granchio, matita nera, carboncino e inchiostro, 1544 circa.
Museo di Capodimonte, Gabinetto Disegni e stampe, Napoli.
“Michelangiolo veduto un diseggno (sic) di sua mano di una giovane che rideva, disse che havrebbe voluto vedere un putto che piangesse come cosa molto più difficile, et essendole scritto, lei li mandò questo quale è un ritratto di un suo fratello fatto piangere studiosamente”. (Lettera di Tommaso Cavalieri a Cosimo de’ Medici, 1562).

Isolata come in un fotogramma la ripugnanza ferita è però una storia: la storia di un’emozione. Nel secolo del cinema Alfred Hitchcock avrebbe espanso questa strategia di rappresentazione di un’emozione nella dimensione del tempo, sino alla lunghezza di un film. Il più delle volte il sentimento protagonista è la paura, o il sospetto, il dubbio o l’angoscia. Ma a volte il regista torna alla tecnica caravaggesca del “teatro degli affetti”. In Notorious Ingrid Bergman figlia di una spia tedesca accetta di sposare Claude Rains un filonazista fuggito in Brasile per smascherarne le trame. Angoscia e trepidazione sono compagne di vita quotidiana per la protagonista, ma l’emozione più forte, il terrore consapevole non diminuito dalle ragioni del bene né dalla certezza di un futuro lieto fine, è quello che Hitchcock dipinge sul volto di Rains, nel momento in cui questi deve dar conto ai complici della fuga della moglie e del fallimento del complotto. In Psycho la pura sensazione di veggente terrore della donna che sta per essere uccisa, è raggelata in un primo piano del suo volto con la bocca spalancata in un urlo che pare uno spasmo.

Quasi a suggerire una gamma contenuta di esempi fisiognomici nel racconto visivo delle emozioni, l’urlo di Janet Leigh evoca quello di Edward Munch, dipinto nel 1893, ora al Nasjonal Museet di Oslo. Ma è Munch stesso a disingannare la pigrizia delle nostre conclusioni. L’urlo dell’uomo sul ponte, ha scritto egli stesso, era l’urlo dei colori in un tramonto dove il rosso delle nuvole sembrava quello del sangue. È il quadro a urlare, cercando di riprodurre un urlo che attraversa la natura. L’emozione dell’uomo è un riflesso potente quanto smarrito.

Edvard Munch, Skrik (L’urlo), 1893
Edvard Munch, Skrik (L’urlo), 1893, Nasjonalmuseet, Oslo

Il fatto che in queste righe, dopo avere abbandonato le tenerezze di madame de Scudéry, una certa cupezza abbia invaso con prepotenza il campo non è del tutto casuale, ma è il frutto di un’abitudine appresa senza esserne consapevoli. Dopo essere state gettate più o meno alle ortiche dagli illuministi le emozioni – pur così care poi ai romantici che volentieri si facevano sorprendere accasciati su canapé intrisi di tormenti o in balia di venti impetuosi, rami storti, rocce paurose, onde ribollenti, con gli occhi brucianti volti al passato mai vissuto – le emozioni appunto avevano avuto vita dura nelle accademie e nei laboratori, sino all’arrivo di Freud che alle emozioni distorte dall’inconscio imputava una sfilza di psicopatologie. Così, di teoria in teoria, per molto tempo le emozioni sono state solo negative. Nel 2005 il Comprehensive Textbook of Psychiatry riportava nel suo indice dei termini infinite occorrenze per le parole odio, paura, depressione, colpa, vergogna ecc. mentre una sola riga era dedicata alla gioia e nessuna all’ammirazione o alla gratitudine o alla compassione e perfino all’amore. Per le emozioni positive meglio rivolgersi ai Vangeli o a Mary Poppins.
Ma il mondo sarà salvato dai ragazzini, o almeno saranno loro a restituirgli il sorriso e le emozioni buone o, ultima spes, c’è sempre Hollywood che s’impegna a conquistarli con le sue favole: infatti nel 2015 la Pixar, distribuita da Walt Disney, e il regista Peter Docter realizzano Inside Out, dove va in scena la sala controllo interiore, il “quartier cerebrale” ha scritto Mariuccia Ciotta, di una bambina di 11 anni, dove sono al lavoro cinque emozioni primarie travestite da personaggi animati: Gioia, Tristezza, Disgusto, Paura, Rabbia. Manca la sorpresa. Rabbia è rossa e prende fuoco, Disgusto è verde e odia i broccoli, Tristezza è blu naturalmente e porta malinconici occhiali, Paura sembra una zanzara su due gambe e Gioia infine è un vero capo scout ma con zazzera turchina. È la fatina buona, no? Le emozioni di Riley sono tutte buone, e tutte vogliono il meglio per la loro ospite: Rabbia tiene alla larga le ingiustizie; Disgusto i veleni, Paura i pericoli; Tristezza invece dà l’allarme quando c’è carenza d’affetto, e Gioia dispensa felicità. Il film è caruccio anche se Foucault avrebbe detto che è pensato per disciplinare le emozioni e renderle compatibili con un’omogeneizzata e tranquilla sottomissione sociale.

Inside Out
Da sinistra, Rabbia, Disgusto, Gioia, Paura, Tristezza: Inside Out (2015), regia di Pete Docter. Manca la sorpresa.

Ma torniamo un attimo ai colori connessi alle emozioni: rosso di rabbia, verde di bile, una fifa blu, giallo di paura, ogni sentimento in questi modi di dire è come sottolineato da un evidenziatore, per permetterci di visualizzarne senza mediazione psicologica lo stato. Ribaltiamo per un attimo il punto di vista: i colori hanno emozioni? Alla Gam di Torino, fino al 23 luglio 2017 c’è una mostra curata da Carolyn Christov-Bakargiev, Marcella Beccaria, Elena Volpato, Elif Kamisli e con la consulenza scientifica di Vittorio Gallese e Michael Taussig, che s’intitola L’emozione dei colori nell’arte: «La mostra collettiva ripercorre la storia, le invenzioni, l’esperienza e l’uso del colore nell’arte». Nelle pieghe delle note esplicative dove si parla di neuroscienze, psichedelia, positivismo, Goethe e Newton, vibrazioni e mondo affettivo, chimica e codici iconici, ci sono almeno due indicazioni curiose per ciò che qui interessa: l’opera dei seguaci Hindu Tantra (XVIII sec.) «che utilizzavano le forme-colore come fonti per la meditazione e la trasmissione immateriale del pensiero», e le ricerche di Anne Besant (1847- 1933) teosofa impegnata nella ricerca di colori emotivamente pronti a rappresentare forme vestite dalla luce di altri mondi. La Besant ha scritto con C. W. Leadbeater Le forme –pensiero che comprende una Tavola per il significato dei colori. A tasselli di colore spesso incerto, screziato, puntinato, sidereo, corrispondono queste interpretazioni: Alta spiritualità, Simpatia, Inganno, Gelosia, Affetto puro, Inganno, Devozione ad un puro ideale ecc.
Sono tracce queste per andare alla scoperta di colori animati (con un anima, o un anime) e forse senzienti. Ma già si potrebbe dire che il rosso di Kandinskij ha emozioni diverse da quello inventato da Lucio Fontana, è più sfacciato e timido allo stesso tempo, ed è senz’altro meno perplesso di quello di Mark Rothko.

Mark Rothko, Four Darks in Red, 1958, Whitney Museum of Art
Mark Rothko, Four Darks in Red, 1958, Whitney Museum of Art
Lucio Fontana, Attese, 1961, GAM, Torino.
Lucio Fontana, Attese, 1961, GAM, Torino.
Vassily Kandinskij, Mit und Gegen, 1929
Vassily Kandinskij, Mit und Gegen, 1929

Quanto all’antropomorfizzazione dei vecchi “affetti” e la loro rappresentazione in carne e ossa non mancano di precedenti illustri. Nella Cappella degli Scrovegni tra il 1303 e il 1306 Giotto s’ingegnò di dare volto, corpo e gesti a Vizi e virtù, che in qualche caso possiamo sovrapporre alle nostre emozioni: l’Ira ad esempio, che si strappa le vesti e sembra sciabolare lame dagli occhi o l’Invidia con la mano grifagna, che s’allunga ad arraffare, e la serpe velenosa che le sguscia di bocca o la Speranza con le braccia protese e il volto sereno, in atto di spiccare il volo.

Questo gesto della speranza, le braccia stese ad accogliere e raggiungere, lo sguardo pacificato sono due secoli dopo quelli della Santa Elisabetta del Pontormo che, nella Visitazione di Carmignano (1526-29 circa), sembra spiccare un piccolo volo verso Maria.

Pontormo, La visitazione
Pontormo, La visitazione, Propositura dei Santi Michele e Francesco, Carmignano

Bill Viola nel 1995 ha realizzato, ispirandosi a questo quadro, il lungo video The Greeting dove lo speranzoso slancio di Elisabetta è ancora più accentuato dalla ieratica compostezza delle immagini al rallentatore.
Lo stesso Viola è autore di Six Heads (2000), sei immagini adiacenti di uno stesso volto che esprimono differenti emozioni, ispirato ai lavori cinestesici di Charles Le Brun (1619-90) che compilò un atlante delle espressioni facciali come segni esteriori, visibili, delle passioni.

Charles Le Brun, La Venerazione
Charles Le Brun, Expressions des passions de l’âme. Représentées en plusieurs testes gravées d’après les desseins dr feu Monsieur Le Brun, premier peintre du Roy. A Paris, par Jean Audran, graveur du Roy en son Académie à l’hôtel Royal des Gobelins, avec Privilège du Roy, 1727.
La Venerazione.

La storia dell’arte è anche la commedia dell’arte delle facce inanimate, ma eloquenti: gli enigmatici e misuratissimi sorrisi di kouroi e korai, l’impassibilità apollinea che si fa languida spostandosi dal cielo degli elleni a quello degli ellenisti, dall’Hermes di Prassitele al Laocoonte dei Musei Vaticani; gli accigliati imperatori romani e la struggente, quasi delusa sofferenza dell’Ecce Homo di Antonello da Messina; lo spavento dei dannati michelangioleschi e la discrezione maliziosa delle casalinghe di Vermeer. L’emozione si traveste da stile e diventa l’indizio probante di una cultura, ma anche la confessione di una singola anima: la Santa Teresa del Bernini, orgasmo mistico irripetibile. Sino ai cataloghi meraviglianti di Franz Xaver Messerschmidt e Honorè Daumier. Nei volti di Lucian Freud l’emozione diventa una pasta densa, ruminata, un groviglio di ombre e rilievi, ma tornando indietro di quattrocento settanta anni l’autoritratto del pittore inglese sembra una devota elaborazione di un ritratto fatto da Sebastiano del Piombo a Cristoforo Colombo.

Antonello da Messina, Ecce Homo
Antonello da Messina, Ecce Homo, 1473, Collegio Alberoni, Piacenza.
Honoré Daumier, Physionomies de spectateurs de la Porte St.-Martin
Honoré Daumier, Physionomies de spectateurs de la Porte St.-Martin…, 1852, National Gallery of Art, Washington D.C.
Rapunzel, schizzi per il personaggio di Flynn Rider
Walt Disney, Rapunzel, 2010, regia di Nathan Greno e Byron Howard. Schizzi per il personaggio di Flynn Rider.
Dominiques Ingres, collage dei suoi disegni-ritratto
Dominiques Ingres (1780-1867), un collage dei suoi disegni-ritratto

Dunque le emozioni sono meno volubili della storia dell’arte? La chimica dei nostri affetti è più conservatrice di quanto non sia l’estetica.
Per un canone ufficiale dobbiamo tornare a Walt Disney e ai suoi disegnatori, instancabili compilatori di smorfie, maschere, intonazione visuali e gesti espressivi.
Naturalmente quest’ostinato interrogarsi sul volto dell’uomo è dovuto alla convinzione che sulla superficie sia possibile leggere la profondità, ovvero che nelle espressioni parlino le emozioni e che nelle emozioni si nasconda come un dio in fuga, la verità.
Il mercato, come sempre, vuole molto di più, ha bisogno di certezze ed ecco inventata la macchina per capire le emozioni (del consumatore): si chiama Neuralya. Si tratta, cito da Vanity Fair del 26 giugno 2015, «di un dispositivo semplicissimo da indossare, che aggiunge ai rilevamenti già esistenti, i segnali provenienti da un brain tracker, la misurazione del battito cardiaco e la lettura della cosiddetta electrodermal activity, ossia delle variazioni nelle caratteristiche elettriche della pelle a seconda delle emozioni che si provano. Infine un software elabora il tutto, indicando chiaramente se chi guarda prova attrazione, repulsione o qualsiasi altra emozione».
Sarebbe forse utile sapere se il vostro bambino predilige Biancaneve o Pinocchio, il rosso o il verde, la speranza o la paura, e se i biscotti li vuole al burro, al cioccolato o vegani. Ma per scoprirlo, invece di applicargli un paio di elettrodi, sedetevi sul bordo del letto, leggete e guardate la faccia che fa. Buona emozione!

Norman Rockwell, Bedtime or Mother Reading to Child by Fire
Norman Rockwell, Bedtime or Mother Reading to Child by Fire, 1923.
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